
Perché non vanno mai bene i nomi fatti per la presidenza della Repubblica? Perché si vuole scegliere ed eleggere con criteri vecchi una figura che è chiamata a fare cose nuove in Italia, e per l’Italia in Europa. Inserire dopo lo sfacelo Napolitano, nuovamente, un “corpo” antico in una politica che dovrà essere diversa e nuova, è come innestare sangue infetto in un corpo malato, e farlo morire. Il nuovo capo dello Stato italiano deve essere individuato cioè, non in base a ciò che ha fatto, oltretutto qui il più pulito ha la rogna vedasi il curriculum di Amato e povero Craxi, ma deve essere individuato in base a ciò che dovrà fare in Italia e soprattutto ciò che dovrà andare a fare per l’Italia in Europa.
In Italia dovrà indire il più velocemente possibile le elezioni e, in seguito, all’interno dei limiti costituzionali, siglare i provvedimenti di spending review nel senso cioè della drastica riduzione di ogni spesa e ruolo pubblico a favore della produzione e della crescita collettive comuni. In Europa dovrà presenziare attivamente, onde promuovere la nuova Europa politica, a cominciare dal convocare altri capi di Stato membri per la rinegoziazione dell’Unione stessa.
Affidare un ruolo siffatto a ruderi del passato è quantomeno provocatorio nei confronti di una popolazione stufa marcia di quanto ha visto e stufa di ciò che sta vivendo. Il male minore è che la scelta cada su soggetti o a forte impatto a contrasto della situazione attuale, del tipo chi dice chiaramente “no” a questo tipo di Europa poltronificio degli inetti amici degli amici, o figure a minimo denominatore utile, del tipo liberali laici da una vita cui offrire la preziosa chance di dare il meglio del proprio credo al Paese e in Europa. Se la carica, così come non è e ci ha abituati a credere Napolitano, fosse unicamente onorifica, basterebbe un capo di un impero produttivo economico, tipo il nome di un grande marchio d’impresa italiana nel mondo. Ma così non è.
Con gli agi e lo stuolo superiori a quelli di Buckingham palace della Regina d’Inghilterra, il Quirinale è preda ambita in grado di trasformare il più austero o ligio soggetto in un pericoloso e feroce rapace aduso a qualsivoglia enormità anti democratica “coperta” da totale irresponsabilità (nel senso che non ne risponde in alcun modo), dunque ci vuole un soggetto che, integro di testa, avvii la drastica riduzione degli stessi agi e stuoli cui approderà e in cui vivrà, riducendoli al lumicino dando per primo l’esempio della trasformazione in atto, e sia determinato e forte abbastanza da procedere a impostare le cose in maniera tale da dare il futuro all’Italia.
Riuscirà la nuova compagine elettorale con a capo il nuovo presidente della Repubblica ad assolvere il compito di traghettare il nostro Paese verso e alla competitività e produttività? Riusciranno a convogliare se stessi e gli italiani tutti verso il mercato, e fuori dal settore pubblico, assistenziale e stipendiante, onnipresente? E’ l’idea stessa di Stato che ci si trova a dovere cambiare. Si tratta di scivolare o “slittare” dallo “Stato” al “Paese”, dove per “Stato” si intende la presenza prevalente dappertutto dell’entità stipendificio pubblico, a mantenimento della maggior parte degli italiani, e per “Paese” si intende la collettività di lavoratori non dipendenti dallo “Stato” ma autonomi economicamente, con attività proprie e libere svolgentisi sul mercato economico globale, collettività collegata al proprio Paese in quanto contributori e pagatori di servizi comuni essenziali, pochi. Non è facile. Ma il mercato è già lì dove “Stato” e “Paese” italiano devono convergere e arrivare.
Non c’è da avere paura perché le risorse pubbliche da indirizzare e convogliare alla produzione ci sono, vanno unicamente incanalate nella giusta direzione, non disperse. E’ molto interessante in tal senso l’azione collettiva formulata da parte della cittadinanza italiana alla Corte dei Conti, con cui si sta chiedendo il rendiconto circa la spesa (e la sua legittimità) corrisposta, con soldi dei consumatori risparmiatori italiani, per il riscatto delle nostre cooperanti terroriste dell’islam. E’ valido indice del lento, progressivo e inesorabile passaggio da “Stato” a “Paese”, all’Italia. E’ bene che i soldi pubblici a disposizione prendano la direzione utile a garantire il nostro futuro, non la dissipazione, non altra.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31