
Proviamo, con tutto il rispetto, a riassumere: la libertà di espressione è un diritto ma anche un dovere, in nome della religione non si può uccidere, però non si può provocare né prendere in giro la religione di un altro. L’altro giorno Papa Bergoglio è stato chiaro e, ci si consenta, anche di una logica quasi elementare. Le parole del Santo Padre sono state rese note proprio nello stesso giorno nel quale l’80enne Henri Roussel, uno dei fondatori di Charlie Hebdo, ha accusato Charb, il direttore del settimanale satirico tra le vittime della strage, di aver “trascinato la sua squadra verso la morte” pubblicando vignette dal contenuto provocatorio sul profeta Maometto.
Perché alla fine, ed è inutile nasconderselo, la questione è sempre la stessa da qualsiasi punto di vista la si guardi: è giusto porre un limite al diritto di satira? O, se più piace, non sarebbe il caso che la satira si ‘auto-ponesse’ un confine oltre il quale non andare? Non parliamo solo delle caricature con argomento religioso ma del tema inteso nel senso più in generale. In altri termini, forse un po’ più brutalmente, in nome del diritto di satira tutto si può fare? Alla satira tutto è permesso?
I puristi di certe libertà ci scuseranno (perchè democratici e libertari) se ci permettiamo di ipotizzare che la satira, per alcuni, possa anche costituire una sorta di scudo dietro al quale difendersi dopo aver gettato fango (e non solo) contro tutti.
A noi, ad esempio, la vignetta con la testa del Profeta che molto ricorda il membro dell'uomo (sia pure raffigurato capovolto) non ci convince, anche se pubblicata sulla prima pagina di Charlie Hebdo. Tra la satira (quella vera) e la sfida fine a sé stessa preferiamo la prima: anche perché, alla lunga, la seconda rischia davvero di far ridere assai poco.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:15