
Bisogna vedere, bisogna ascoltare, bisogna capire. Le persone che ci narrano un episodio, le cose che ci raccontano una storia. E capire gli esempi, i simboli, i dettagli. Sì, perché, come si dice, il diavolo sta nei dettagli i quali svelano ciò che non è arcano, ma sorvolato distrattamente. Pochi conoscono la storia della piscina di Sesto San Giovanni, ex Stalingrado del nord Italia, ex città industriale, medaglia d’oro della Resistenza. La piscina è comunale, pubblica, aperta tutti giorni a tutti, costa poco o niente farci un bel bagno, distendere i nervi, placare lo stress con lo stretching. Ma c’è un ma, il cosiddetto dettaglio. Nel senso che se un cittadino qualsiasi desidera compiere qualche tuffo e un paio di vasche e non sa esattamente come stanno le cose, ebbene, quel giorno, in quelle ore di libertà, magari nella pausa pranzo, ed è già lì, voglioso davanti all’ingresso, ecco che lo trova inopinatamente chiuso.
Lì per lì pensa ad uno sciopero selvaggio, ad un guasto al filtraggio, a una festa patronale. Non ha trovato o letto cartelli chiarificatori. È un po’ interdetto, perplesso, ma si sta rassegnando, è un buono. Finché gli si avvicina qualcuno che gli chiede come mai non sia informato di un fatto che gli utenti della piscina sanno benissimo. “No, non so niente - fa l’aspirante utente - sono di fuori, mi dica”. E quello: “Ma allora lei non sa che noi sestesi siamo moderni, crediamo nell’integrazione, anzi, la sollecitiamo, nella città sono tanti gli extracomunitari...”. A questo punto il nostro malcapitato comincia a intuire qualcosa, ma non tutto e non bene. Anche lui, per carità, è per l’integrazione e il rispetto dei culti diversi, si sente ed è moderno, modernissimo, tant’è vero che il suo voto, quasi sempre, è andato ai progressisti, ma questo che c’entra con la piscina chiusa? C’entra, c’entra. L’informatore continua: “La nostra piscina non è chiusa, anche oggi è aperta, ma è riservata. Oggi è il giorno dedicato, anzi, riservato alla donne mussulmane, alle ragazze, alle loro mamme e nonne, e zie e amiche. Nessun altro può entrare, lo prescrive la loro religione, il Corano, la civiltà islamica, i loro stili di vita; però, domani e tutti gli altri giorni, la nostra piscina è aperta a tutti, e quindi anche a lei; che sarà mai un piccolo sacrificio per affermare il principio, anzi, il valore dell’integrazione, del multiculturalismo, della modernità?”.
Il nostro rimane, come Totò, senza parole, basito, di stucco. Non sappiamo quali saranno gli effetti “politici” sul nostro delusissimo amico, ma è facile supporre che abbia avuto tutto il tempo per riflettere sui principi e sui valori tirati in ballo per spiegare la chiusura della piscina. Chiusura che, a quanto ne sappiamo, non è stata richiesta dalla comunità islamica locale. E allora? Allora questo episodio, che è un fatto, ancorché all’ombra di un dettaglio, ci racconta una storia nella quale altri esempi, altri fatti, altre scelte che si inquadrano in un dimensione del cosiddetto politically correct, a causa del quale il concetto d’integrazione è stato inteso non solo o non tanto monodirezionalmente, quanto, soprattutto, erroneamente. Producendo effetti rovesciati rispetto alla reale e concreta cioè possibile integrazione. Una piscina chiusa un giorno alla settimana, privatizzata “ad usum religionis” è quanto di più distante dalle possibilità di integrarsi dell’altro nei nostri stili di vita, nelle nostre consuetudini, nei nostri, chiamiamoli pure, valori. Non si tratta soltanto di reciprocità, ma anche e soprattutto di rispetto per noi stessi, la nostra storia, ovvero, la nostra identità. A che serve la cittadinanza all’extracomunitario se viene intesa, anche da chi la concede, come un fatto puramente amministrativo e non, invece, come un’adesione a leggi, costituzioni, libertà, abitudini per integrarsi e sviluppare insieme una collettività animata dagli stessi principi di libertà e, perché no, di civiltà?
Poche settimane fa era Natale, con la sua fortissima evocazione, e non solo religiosa. Pensiamo alla gigantesca bestialità di proibire in certi luoghi il Presepe perché offensivo dell’altrui religione. E riflettiamo sulla decisione così frequente di togliere il Crocefisso da molte aule perché simbolo di un culto non gradito agli scolari di altri credo. È questa la politica più corretta per accogliere coloro che diventano, lavorando e producendo, cittadini della Repubblica Italiana che, come si sbandiera quotidianamente, possiede la più bella Costituzione del mondo? Meditate, gente, meditate...
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:27