Anche se il detenuto  si chiama Provenzano

E’ grave? Secondo noi sì. Perché un essere umano che è afflitto da “grave decadimento cognitivo e sindrome ipocinetica, dovuta a sindrome extrapiramidale ed agli esiti di una devastante emorragia cerebrale, neoplasia prostatica in trattamento ormono-soppressivo”, proprio bene quell’uomo non dovrebbe stare. Poi arrivano altri medici specialisti ed accertano che lo stesso soggetto ha uno stato cognitivo “gravemente ed irrimediabilmente compromesso” e che lo stesso, di fronte agli specialisti, “è risultato risvegliabile ma sostanzialmente non contattabile, con eloquio privo di funzione comunicativa, probabilmente confabulante, incapace di eseguire ordini semplici”.

E se poi “tale condizione risulta di fatto evoluta in senso peggiorativo rispetto a quanto descritto nella valutazione neuropsicologica dell’aprile del 2014” qualcosa bisognerebbe pur chiedersela. E se poi ancora il soggetto è detenuto in un carcere italiano, sarebbe altresì il caso di dare un’attenzione maggiore alle condizioni di salute dello stesso anziché farlo stare in isolamento al 41bis (sia pure in ospedale) perché – incredibile ma vero – un tribunale ha deciso che un essere umano così malridotto può ancora impartire ordini a qualche suo sodale: incapace di coordinare anche se stesso, ma in grado di interloquire con altri! La giustizia riesce a sostituirsi anche ai medici e così facendo rischia (?) di uccidere definitivamente lo stato di diritto.

Eppure – ogni tanto è bene rammentarlo - la Costituzione (ancora vigente e talvolta fin troppo “maltrattata”) prevede la punibilità di ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà e le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità: anche se il detenuto si chiama Bernardo Provenzano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:36