
Con il ventisettesimo congresso della Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), che si terrà a Chianciano dal 27 al 30 gennaio, si concluderà la lunga gestione di Franco Siddi, il giornalista sardo di 62 anni che ha retto come presidente prima e come segretario generale dopo i vertici della Federazione della stampa per 13 anni. Un record che supera la lunga carriera da sindacalista del giornalista Paolo Serventi Longhi, dipendente dell’Ansa. Non lascerà, forse, il presidente uscente, il bolognese Giovanni Rossi, che è subentrato nel febbraio del 2013 a Roberto Natale, ex segretario dell’Usigrai come Giuseppe Giulietti, e diventato portavoce della presidente della Camera Laura Boldrini.
Che congresso sarà? Le analisi e i programmi non potranno non partire dalla realtà che evidenzia una forte crisi dell’editoria, il ridimensionamento delle copie vendute, l’avanzare del digitale, i pericoli per gli istituti previdenziali e assistenziali, attaccati da norme generali sempre meno chiare e con fini di ridimensionamento del welfare. L’unica cosa che non è cambiata nella rappresentanza sindacale dei giornalisti è la pletora dei delegati al congresso (ben 312) e il numero spropositato del Consiglio nazionale e i suoi organi. I giornalisti sono rimasti indietro nell’affrontare la governance sindacale. Prevale ancora la filosofia del “c’è posto per tutti” magari con qualche incarico ben remunerato.
Dai congressi che hanno eletto i delegati sono emerse polemiche e divisioni nonostante che la corrente di maggioranza si affanna a ripetere che la categoria esprime un’associazione “unitaria, federale, plurale pur senza vivere la condizione dell’unità”. La soddisfazione deriva dal fatto che sono sempre gli stessi personaggi che da una ventina di anni ruotano tra sindacato, Inpgi, Casagit con qualche innovazione all’Ordine. Ad eccezione del periodo di Guido Guidi, Gilberto Evangestisti, Giuliana Del Bufalo, Angela Buttiglione, Marcello Zeri, Arturo Diaconale, Guido Paglia, Massimo Signoretti e a Milano Walter Tobagi, Maurizio Andriolo, Giorgio Cantarini dell’allora Stampa Democratica, i vertici della Fnsi sono sempre stati appannaggio dello schieramento che una volta si chiamava “catto-comunista” e ora giornalisti di autonomia e libertà.
Non è un buon momento per il sindacato dei giornalisti alle prese con una delle crisi occupazionali più profonde degli ultimi 50 anni, il protrarsi della crisi economica e di un sistema fragile ed arretrato. Le vicende dell’ultimo contratto sono significative dell’imbarazzante procedere dei vertici della Fnsi che hanno indetto un referendum farsa mentre le consultazioni vere nelle redazioni evidenziavano il malcontento dei giornalisti per norme che arretravano conquiste salariali e normative. Un rinnovo reso possibile, come osservato da molti a Roma e Milano, solo per la sanatoria del debito-monstre accumulato dagli editori sul fondo dell’ex fissa, debito colpevolmente trascurato anche dall’Inpgi. Certificato il fallimento del Fondo si sono colpiti diritti acquisiti dai giornalisti in lunghi anni di trattative. I vertici della Fnsi sono stati accusati di aver portato avanti per un anno e mezzo le trattative senza un’informativa completa ai Comitati di redazione (Cdr) o assemblee redazionali. La conseguenza sono stati i no plebiscitari del referendum consultivo di Roma e del Lazio.
La sfida congressuale non dovrebbe essere più quella tra vecchie etichette e vecchie correnti (Rinnovamento e Autonomia). I giovani professionisti da sempre distanti dal sindacato ne ignorano le complesse vicende sindacalizzate. La realtà che vedono sono i licenziamenti, le ristrutturazione, i contratti da precari “farlocchi” da 500 euro lordi al mese, l’iniquo “equo compenso” delle collaborazioni a 2 euro ad articolo pagabili in pacchetti da 10 pezzi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19