I mille giorni difficili e l’esorcismo fallito

Sulla copertina dell’ultimo libro di Aventino Frau (“Mille giorni difficili”, Cierre Grafica, 2014) campeggiano, o forse è meglio dire occhieggiano, le foto degli ultimi quattro presidenti del Consiglio nel biennio e mezzo esaminato dall’Autore. Berlusconi, Monti, Letta, Renzi sono diversi per infinite ragioni, evidentissime e no. Berlusconi, l’astro tramontato: un abbagliante abbaglio. Monti, la stella cadente: luminosamente apparsa e scomparsa nel buio. Letta, il funzionario a cui hanno tolto la scrivania. Renzi… beh, non si può ancora dire! Salvo che desidera sembrare un futurista senz’essere un Marinetti. Per ora, del futurismo ha un carattere essenziale: la velocità conta più della direzione del movimento.

Eppure, gl’illustri presidenti (Renzi escluso, al momento, perché sedicente duraturo) hanno in comune l’aver deluso le promesse, essendo stati nella posizione ideale per cadere in piedi, mentre sono caduti nel discredito. Berlusconi ha avuto tutto il tempo, parliamo di anni, e della proclamata rivoluzione liberale ha fatto un bunga bunga politico, riducendosi pateticamente ad incolpare il destino e i suoi alleati d’avergli impedito di realizzarla. Monti, diventato senatore a vita e premier con uno schiocco delle dita di Napolitano, ha fatto il poco indispensabile illudendosi d’esser diventato una stabile forza politica. Letta ha suscitato tenerezza e simpatia come un cucciolo, e basta, sùbito allontanato dalla ciotola del latte dalla zampata di quel cagnaccio di Renzi. Nel frattempo, le cose andavano e andavano come da lustri: più tasse, più spese, più debiti; meno produzione, meno occupazione, meno consumi.

Aventino Frau (nella foto), che ha salito fino ai vertici i gradini del cursus honorum professionale e politico (avvocato, professore, sindaco, deputato, senatore), dipinge il suo quadro dei mille giorni con pennellate impressionistiche. Il libro raccoglie, con qualche limatura, le sue note apparse sul blog “Lasciatemi dire”, dove egli commenta i fatti della società che hanno maggiormente interessato il pubblico. Ma non per ciò il libro è frammentario o episodico, come viene a taluno di criticare i volumi che riuniscono gli articoli già pubblicati da un autore. Al contrario, la natura cronachistica del libro conferisce ad esso quella vivezza ed incisività che solo la narrazione dei fatti specifici riesce a trasmettere. Infatti càpita spesso che la dissertazione politologica finisca con l’annoiare se non sostenuta da concreti riferimenti alla vita reale ed ai suoi personaggi. Inoltre, e questo è il secondo pregio, il libro costituisce una sorta di diario politico-sociale dei ‘mille giorni’, nel quale ritroviamo i temi salienti della nostra storia contemporanea: per esempio, la vicenda berlusconiana, il grillismo, magistratura e politica, euro e europeismo, il leghismo, le istituzioni, gli enti locali, l’immigrazione, le ideologie, la corruzione, sistema elettorale e sistema politico. Non mancano i ricordi di personalità quali Andreotti e Colombo, che Frau, per la sua importante militanza democristiana al massimo livello, ha conosciuto di persona.

Il libro è scritto in modo gradevole, chiaro, equilibrato, che poi è lo stile stesso, personale, dell’Autore, così alieno e disistimatore dei tonitruanti e stentorei protagonisti e comparse dell’odierna politica. Questa, il terzo pregio, chiarezza espressiva non è comune al giorno d’oggi, dove giornalisti indegni del nome e politici indegni del ruolo, parlano e scrivono come stranieri, lardellando l’italiano di neologismi astrusi e inglesismi tanto ridicoli quanto inutili.

Nel capitolo finale, intitolato “Mille giorni prossimi venturi: dove andremo?”, Frau esprime la speranza che i futuri mille giorni invocati da Renzi (all’inizio erano cento ma, pare, riducendo la velocità il tempo si allunga) servano a lenire, se non guarire, i mali dei passati mille giorni e diano agl’Italiani un buon governo e una buona opposizione, alternativa. Il punto cruciale, ben presente a Frau, è la democrazia, che egli vede distorta in oligarchia. Condivido la distorsione, ma, se è permesso, insisterei sulla mia immutata convinzione che l’Italia è bensì una democrazia, ma illiberale. L’oligarchia che si autoprotegge con le leggi elettorali ispirate al porco mira a confinare il popolo nello stabbiolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31