Il dopo-Napolitano,   ma ora cosa ci aspetta?

Dunque, il Presidente Giorgio Napolitano lascerà la carica che occupa da più di otto anni. Con lui, esce di scena uno degli ultimi rappresentanti di quella classe politica che ha attraversato le vicende del paese dal dopoguerra ad oggi: una classe politica variegata, composita, divisa al suo interno da forti contrapposizioni ideologiche, non scevra da errori anche gravi, ma sicuramente ricca di personalità di spicco, efficaci, determinate, rappresentative, capaci di plasmare il Paese, o suoi segmenti, sulle loro immagini e propositi.

Una rivisitazione attenta e comprensiva delle loro storie ci potrà confermare quella che è comunque una immediata, dolente sensazione: e cioè che, di generazione in generazione, lo spessore etico, culturale e anche umano della classe politica italiana è venuto scemando e che, fatto salvo il giudizio particolare su questa o quella figura, la classe dirigente o - più esattamente - politica attualmente sul proscenio è complessivamente assai inferiore a quella, per dire, di cui Giorgio Napolitano è rappresentativo esponente.

Il problema ha però portata più vasta. Ovunque si avverte un appiattimento della qualità specifica delle figure cui si deve fare riferimento quando si parli dell'una o l'altra attività sociale o istituzionale. E' l'intero ceto dirigente del paese ad essere in crisi. Rare sono le personalità cui si possa guardare come valide, positive espressioni di valori riconosciuti e spendibili. Da una recente inchiesta/sondaggio, emergeva la costante di un paese che non ha più fiducia in se stesso e nelle sue risorse umane, un paese i cui cittadini si sentono "soli", senza punti di riferimento cui rivolgersi per attingere fiducia e, diciamolo, speranza. La gente prova anzi diffidenza e distacco rispetto a un ceto dirigente coinvolto in un pantano di inefficienza, inaffidabilità, incompetenza. E per la classe politica si dovrà parlare anche assai spesso, come vediamo ogni giorno, di corruzione. Benedetto Croce giustamente diffidava di chi richiedesse alla politica la virtù dell'onestà, ma credo che lo spettacolo di oggi avrebbe disgustato anche lui: avrebbe anche lui avvertito come oggi in Italia la corruzione non tanto inquina la politica, quanto piuttosto la condiziona, la frena, ne impedisce la crescita e la maturazione se non addirittura la semplice esistenza. In tale situazione, è persino fuori luogo invocare una riparatrice meritocrazia, quel che semplicemente servirebbe è un minimo di decoro civile, di onestà e pulizia, e magari di rispetto del diritto.

Quali sono le cause di questa caduta, che al momento sembra inarrestabile? Difficile dare una risposta coerente e completa: probabilmente sono molte, variamente intrecciate. Forse, un minimo denominatore comune potrebbe essere avvertito in un qualcosa di definibile come "assenza di responsabilità". Assenza di responsabilità del paese, nel suo complesso, di fronte alle sfide del presente, dell'attuale contesto storico/politico, se non anche latamente culturale. L'Italia viene progressivamente emarginata da tutti i nodi e momenti in cui debbano esser prese decisioni di fondo, o comunque significative. Questa condizione che, ripeto, potrebbe essere definita come di "irresponsabilità" storico/politico/culturale ha fatto sì che, a partire dai posti di maggior rilievo e di maggiore spicco anche a livello internazionale, per i quali dovrebbe essere richiesto il massimo di funzionalità, non sia avvertita la necessità di scelte, di indicazioni rigorose, che puntino alla efficienza/efficacia. Per dire, l'Italia è forse il paese la cui rappresentanza al parlamento nelle istituzioni comunitarie europee è più inadeguata: quei posti vengono quasi sempre o molto spesso considerati piuttosto come una sorta di risarcimento per figure espulse dalla politica nazionale.

Non è un caso se forse la migliore classe politica italiana dello scorso secolo sia stata quella coinvolta e protagonista dello scontro con il fascismo. L'antifascismo militante vide emergere personalità nelle quali all'esperienza maturata nella durissima lotta si aggiungeva un notevole senso di responsabilità etica. E non è un caso se quella contingenza vide per l'ultima volta quali protagoniste figure provenienti dall'area, dalla cultura, liberale o liberaldemocratica, nutrite di alte idealità. Ma lo stesso Togliatti, con tutte le colpe e le responsabilità che possono e debbono essergli attribuite, era figura di spicco, di cultura e di capacità internazionali, una eccezionalità di fronte all'angustia culturale così evidente nel Berlinguer che trasformava l'accordo con la Chiesa - tutto politico e "tattico" nel sistema togliattiano - nell'abbraccio del "compromesso storico", con velleità etiche che erano del tutto fuori della storia e condizionarono negativamente la politica italiana. Quando Craxi cercò di spazzar via quel chiuso clima che esprimeva la "diversità" italiana rispetto alle tendenze, all'evoluzione, allo stesso linguaggio delle grandi democrazie europee, venne soffocato e umiliato dalla coalizione delle culture reazionarie, nutrite nel compromesso berlingueriano, che si venivano progressivamente impadronendo dei gangli centrali della politica. E non parlo di Marco Pannella, la cui visione transnazionale è agli antipodi di una pratica angusta anche quando proclama un europeismo che è di fatto inconsistente e di facciata.

Rimedi e cure contro questo sfilacciamento etico/politico? Difficile immaginarli. La politica si cura solo con la politica, ed evitare che succeda come con la moneta, che quella cattiva scaccia la buona, è impresa ardua. C'è solo da sperare - ma senza troppa convinzione - che nell'occasione ormai imminente della elezione del Presidente della Repubblica che dovrà succedere a Napolitano la nostra classe politica sia colta da un soprassalto di responsabilità e di consapevolezza etico/politica. Potrebbe essere l'ultima occasione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31