
Tra le molte notizie che riempiono le pagine dei media cartacei e on line, spicca in questo periodo la tragica vicenda del piccolo Loris, strangolato lo scorso 29 novembre. Come si ricorderà, sin dall’inizio i “detective” dell’informazione avevano puntato i loro nasi sulla madre del piccolo, perfetto personaggio per una tragedia greca del XXI secolo. Le cronache la raccontano giovane, infelice, spesso sola, madre già a 16 anni, per giunta capace di violenti scatti d’ira. Come non potrebbe essere lei la colpevole? L’informazione si meravigliava, anzi, della lentezza con cui gli inquirenti procedevano. Come mai non la arrestavano subito? Un sospiro di sollievo si è alzato da molte redazioni quando, con una procedura che viola palesemente l’articolo 63 del codice di procedura penale, al termine di un interrogatorio che la vedeva testimone – e quindi priva delle garanzie che hanno gli imputati in situazioni simili – gli inquirenti ne hanno ordinato l’arresto per omicidio.
La folla di sfaccendati che si era radunata davanti la caserma dove la donna era trattenuta, si è scatenata in urla ed insulti che nulla hanno a che invidiare a quanto accadeva sotto il Terrore di Robespierre, laddove le Tricoteuses sostavano nei pressi della Ghigliottina, esultando per le teste che cadevano. In un Paese normale mai si sarebbe avuta questa spettacolarizzazione, mai si sarebbero visti spettacoli del genere. Ma questo non è un Paese normale. Qui esiste un corto circuito informazione-opinione pubblica (che spesso coinvolge anche i magistrati), che vuole subito UN colpevole. Non IL colpevole, ma uno purché sia. Meglio ancora se è la “strega”, la mamma crudele della piccola vittima. E l’onda non si è fermata. Interviste ai familiari, notizie vere o verosimili, commenti su ogni momento della vita della giovane donna. Tutto finalizzato a confermare la colpevolezza, data per scontata.
Coloro che osano ricordare il principio della presunzione di non colpevolezza fino a prova contraria, prova che si raggiunge solo con sentenza definitiva di un tribunale, vengono trattati come seccatori, come vecchi tromboni ignoranti, se non come complici oggettivi dell’assassina e odiosi nemici della piccola vittima innocente che chiede giustizia (vendetta sarebbe la parola più adatta). Come se non bastasse in questi giorni si sono svegliati anche gli psicologi della domenica e gli analisti a distanza. La giovane donna viene psicanalizzata in Tv, le vengono riscontrare le più varie patologie, tutte, ovviamente, basate su quanto si legge sui giornali, e su quanto viene detto dai magistrati inquirenti, che si stanno affannando a costruire un’accusa che regga ai processi, perché prima o poi lì si dovrà andare. Inoltre, altri studiosi inopportuni analizzano, partendo dalla tragedia di Ragusa, il ruolo della madre della società moderna, sottolineando la ingiusta mitizzazione della donna-mamma, che non viene vista come donna ma come ente supremo, quasi divino, che ha l’esclusivo compito di proteggere ed amare i figli che ha messo al mondo, pure se non lo avesse voluto.
E si fanno dotte citazioni ricordando il mito di Medea, colei che uccide i figli in odio al marito che la tradisce, mettendolo in contrapposizione con quello di Maria, che accetta e ama Gesù a prescindere dal fatto che sia figlio di Dio. Si lamenta, inoltre, che la società non aiuta le madri, le lascia sole, non sa e non vuole star loro accanto in un momento “bellissimo” ma “difficile”, quando il bambino dipende in tutto da lei e lei non può staccarsi da lui. Tutte analisi interessanti, anche condivisibili, ma che oggettivamente (e soggettivamente dato che molto che scrivono ritengono la madre di Loris colpevole), continuano a dare l’impressione di una colpevolezza scontata, di una colpa non solo penale ma anche morale, quasi che la madre del piccolo non solo fosse l’assassina ma avesse anche ucciso l’idea di mamma buona e santa!
E nessuno si preoccupa di dire che questa donna, accusata di un delitto atroce, è innocente sino a prova contraria, e che è incivile, barbaro e da regime tirannico, questo rifiutarsi di considerarla tale, pretendendo addirittura che sia lei a provare la sua innocenza, con un rovesciamento logico che è degno di Torquemada, Stalin, Pinochet, ma non certo di un Paese che si dice libero, e che pretende di essere il luogo dove il Diritto è nato. Povero Beccaria! Se vedessi cosa sta succedendo nel tuo Paese! Il tuo dei delitti e delle pene è ormai inutile in una società che vuole il sangue, e con un’opinione pubblica che si pasce di colpevolezze a prescindere e si “fa gli sciacqui” con la presunzione d’innocenza.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:01