Ancora i professionisti   dell’antimafia (feroci)

Bisognava veramente leggere quel che ha scritto ieri Piero Sansonetti sul “Garantista” a proposito di un’audizione davanti alla Commissione antimafia per capire quale clima si sta instaurando in Italia con il pretesto della lotta alla mafia e alla corruzione. Nonché per capire gli effetti collaterali della nuova inchiesta romana sulla cosiddetta “terra di mezzo”.

Sansonetti, che nel titolo ha fatto riferimento allo stesso tipo di interrogatorio che uno si aspetta da un tribunale speciale fascista (o anche stalinista, per non fare torto a nessun totalitarismo), è stato praticamente accusato di avere svolto in maniera garantista (così come ha voluto chiamare il giornale) il proprio mestiere di direttore di giornale.

In una terra, la Calabria, e con un editore, la famiglia Cuzzocrea, che da tempo sono nel mirino del neo emergenzialismo giudiziario. Dare la parola al figlio di un boss, intervistare un pentito che ritratta più volte e tante altre delle circostanze a lui contestate come “reati” (di opinione?) possono essere scelte editoriali più o meno discutibili e criticabili. Ma da qui a fare sentire un professionista stimato come un complice della mafia e a venderselo per tale al popolino ce ne passa.

Certo Sansonetti non ha fatto nulla per farsi amici i vertici delle procure calde della Calabria, aprendo anche una polemica franca e aperta con il valoroso Nicola Gratteri, un uomo con idee autoritarie sulla giustizia ma un magistrato tutto di un pezzo nella lotta al crimine organizzato. E però, questa nuova ondata di giustizialismo alla lunga non ci si deve illudere che gioverà a qualcuno. Difatti sarebbe bastato sentire cosa ha detto ieri pomeriggio proprio davanti alla Commissione antimafia il pm della capitale e procuratore aggiunto Michele Prestipino, colui che materialmente ha fatto tutte le indagini su Carminati e soci, per rendersi conto che il bene e il male non sono così nettamente separati come invece sembravano credere i commissari antimafia che hanno inquisito Sansonetti.

Prestipino ha fatto un esempio del perchè a Latina e nel basso Lazio è più difficile che altrove nella stessa regione (e forse in genere in Italia, fatta salva la stessa Calabria) fare indagini penetranti sulla criminalità organizzata.

E lo ha fatto raccontando l’aneddoto di un arresto di un estorsore con tanto di giubbotto anti proiettile il quale addosso aveva una chiavetta usb contenente un decreto del gip di autorizzazione a compiere intercettazioni ai danni dei boss di una certa cosca. E nella stessa chiavetta aveva anche i primi brogliacci di un’attività investigativa ancora in corso e iniziata da poco.

Una volta arrestato e identificato, questo estortore aveva tirato fuori anche un finto tesserino del Mossad e altre amenità del genere. Per farla breve Prestipino ha raccontato alla Commissione antimafia che questa persona è risultata poi lavorare per una ditta che aveva le concessioni in subappalto di tutte le intercettazioni nella zona di Latina. Ha anche aggiunto che casi del genere sono già capitati in altre situazioni e in altre parti d’Italia.

C’è insomma un mercato del conto terzismo delle intercettazioni che può finire in mano alla malavita organizzata e ci sono personaggi di quel tipo in grado di ascoltare la gente indagata e ostacolare di sicuro le indagini.

Forse invece che prendersela con Sansonetti un organismo politico come la Commissione parlamentare antimafia, con la sua presidentessa Rosy Bindi e con il suo vice Claudio Fava, farebbero bene a volgere il proprio interesse verso queste storie paradossali che la dicono lunga sul professionismo dell’antimafia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:01