
Sono quattro i progetti presentati dall'Italia e inseriti tra i 44 cosiddetti illustrativi sui 2000 pervenuti che vorrebbero accedere ai fondi di investimento europeo. La Commissione europea e la Banca europea degli investimenti devono adesso selezionarli in vista dell’operazione di finanza creativa, ovvero del piano triennale di investimenti immaginari da 315 miliardi di euro presentato a novembre scorso da Jean Claude Juncker, presidente evasore per il Lussemburgo. Per l’Italia concernono la ristrutturazione delle scuole per 8,7 miliardi di euro, una rete europea di ricerca biomolecolare insieme a altri Stati membri per un totale di 170 milioni, incentivi alla produzione industriale di alta tecnologia per 400 milioni di euro e l'integrazione della rete elettrica italiana al mercato unico per 480 milioni di euro, cui si aggiunge un piano europeo da 17,9 miliardi per il finanziamento delle piccole e medie imprese.
La Commissione si è convinta della necessità di finanziare progetti in alcuni settori importanti quali l'innovazione, l'economia digitale, l'unione energetica, i trasporti, le infrastrutture sociali e l'ambiente al fine di “migliorare il tessuto economico per facilitare gli investimenti”. Secondo il commissario Juncker il piano deve essere associato a un processo di liberalizzazione dei mercati protetti (in pratica sperimenta con l’Europa l’esatto opposto di quello che ha fatto con il suo Lussemburgo a svantaggio degli altri Paesi), nel rispetto delle raccomandazioni comunitarie. E’ utile ricordare che il piano di Juncker prevede la nascita di un Fondo europeo per gli investimenti strategici con un capitale di soli 21 miliardi di euro e che, nelle rosee previsioni europee, dovrebbe attirare denaro privato fino a ben 315 miliardi di euro.
Si è agli scarti finali di uno spettacolo europeo deludente. Da tempo sarebbe stato necessario procedere nel senso di uno sforzo atto a condurre ad una ricontrattazione dell’Unione tutta, a cominciare dalle popolatissime e strastipendiate istituzioni europee. Gli Stati membri non sono solo diversi ma profondamente ineguali. Serve cioè una strategia comune in grado di tenere presenti tali diversità e ineguaglianze. La strategia comune europea deve porre al centro dell’attenzione l’effettiva crescita, basata su politiche economiche concrete e concretamente perseguite. Una crescita non basata sulla distribuzione delle risorse ma sull’apertura reale al mercato vero. Il nuovo progetto comune europeo è necessario contenga crescita, occupazione, innovazione, infrastrutture, investimenti effettivi, standard elevati europei, qualità della vita, dell’ambiente, in una visione integrata con il mondo, a cominciare dall’Asia, per l’intrapresa di una prospettiva euroasiatica (di cui ha recentemente parlato Putin). Serve cioè un nuovo contratto europeo.
L’Italia è uno dei sei Stati fondatori della Comunità economica europea creata nel 1957 e sciolta nel 1993 per dare vita all’Unione europea, è terza per peso economico e politico tra i Paesi dell’eurozona e ben può fare condividere un progetto comune europeo di lungo periodo, puntando all’obiettivo comune. Purtroppo, per incapacità e malgoverno (non a caso non eletto), è stata sprecata la preziosa occasione del semestre di presidenza italiana che si sta traducendo e concludendo come una penosa marcia a ritroso. Il progetto europeo originario, quello che è stato definito il “sogno europeo”, è stato caratterizzato da una logica forte, costituito con uno sforzo notevole, e ha subito da venti anni a questa parte una nefasta deviazione con costi elevati, un’operazione costosissima sotto tutti gli aspetti in danno degli europei. La contrattazione dell’unità politica è l’obiettivo da perseguire nella prospettiva del mercato globale. Un’unione monetaria che non sfoci in un’unione politica e fiscale è solo un tentativo abortito, un’occasione sprecata e persa, una nascita mancata, benessere collettivo perduto.
Oggi si è sulla strada sbagliata, siamo sulla cattiva strada. Sono stati applicati atti e regolamenti al posto dei Trattati condivisi. L’avvenire deve essere diverso, non nei sogni, ma nella realtà vera. Catastrofe economica o unità politica? Cosa vogliamo? Ci sentiamo europei? In realtà siamo europei senza sentirci tali e, soprattutto, senza che gli Stati uniti d’Europa esistano quale interlocutore unico politico ed economico nel mondo, cioè per gli americani, per i russi, per i cinesi o per i giapponesi, per i brasiliani o per gli indiani. Come si può fronteggiare il peso politico e la concorrenza commerciale di grandi entità come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, essendo piccoli Paesi disuniti? Come promuovere i prodotti europei senza una politica di sostegno di dimensioni continentali? L’Europa non è una frittata per fare la quale è necessario si rompano le uova, deve piuttosto essere una torta rustica in cui le uova, intere e sode, stiano dentro, insieme. L’unità politica darà lo sviluppo economico e sociale che vogliamo? Le cose in Europa sono precipitate, sono troppi quindici anni di strada sbagliata. Ai piccoli passi progressivi oggi è divenuta una necessità impellente il perseguimento di benessere e ricchezza, onde evitare il deflagrare di scetticismi e conflitti alle porte.
Di fatto, atti e regolamenti, hanno stravolto e fatto della moneta unica la causa del conflitto in atto. La nuova moneta unica necessiterà della futura guida politica unitaria. L’integrazione politica europea consentirà ai governi di definire strategie di lungo periodo, partecipare attivamente al mercato economico globale e dare benessere, migliorare le prospettive di vita di una popolazione numerosa quale è quella europea. E’ necessario che, con l’integrazione politica, si risponda adesso ad esigenze oggettive, economiche e commerciali. L’Europa unita, o gli Stati Uniti d’Europa devono essere e sostanziarsi nella concretezza economica. L’Italia deve ricercare un’unità politica europea.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:56