La società molecolare

Quello che emerge dal Rapporto Censis sulla situazione sociale nel Paese, quest’anno alla sua quarantottesima edizione, presentato lo scorso venerdì, come d’abitudine, presso la sede del Cnel, è un ritratto impietoso di un’Italia che non ha più un futuro da offrire. La società italiana del 2014 è una società smarrita, dove prevale il solipsismo, l’atomismo e dove non si intravvede alcuna speranza per il domani. La situazione che si registra nelle famiglie è quella di un generale “attendismo” – anche se circa la metà del campione ritiene che il picco peggiore della crisi sia ormai alle nostre spalle – e una diffusa incertezza che non consentono programmazioni, se non di brevissimo respiro. Non si fanno investimenti finanziari, e il mercato della compravendita immobiliare è pressoché stazionario.

A crescere soltanto il denaro circolante e i depositi bancari. In sintesi il messaggio che trapela è quello di tenere i soldi “pronti”, per qualsivoglia emergenza. Il rapporto evidenzia una altissima percezione di vulnerabilità – ben il 60% del campione ritiene che nessuno è indenne dal rischio di diventare povero. Si assiste ad una contrazione dei consumi cui si accompagna la riemersione del “nero”. Il 30% degli italiani prova ansia rispetto al futuro. E i giovani per avere successo puntano più sulle conoscenze e sulla famiglia di origine piuttosto che sulla formazione o sul duro lavoro. Il confronto dei nostri dati con quelli dei “cugini” europei denota il radicamento forte di un messaggio negativo (quanto reale), ovvero che senza le conoscenze giuste non è possibile fare strada. Sul fronte delle aziende, tra il 2008 e il 2013 si è assistito ad una vera e propria moria, con la perdita di oltre 1 milione di posti di lavoro.

Le aziende sopravvissute hanno dimezzato i propri investimenti, puntando anch’esse sulla liquidità. E il settore culturale è proprio la cartina di tornasole di un paese essenzialmente allo sbando. La nostra penisola è al primo posto per numero di siti Unesco, ma i lavoratori della cultura sono appena 304mila, a fronte di circa il doppio di Germania e Gran Bretagna. Il valore aggiunto del settore culturale è stato nel 2013 di 15,5miliardi di euro, a fronte dei 35 miliardi della Germania e dei 27 della Francia. Mentre gli altri Paesi negli anni della crisi hanno cercato di puntare tutto a rafforzare il settore culturale, l’Italia è andata in controtendenza. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. “E’ un Paese dal capitale inagito sul quale grava un meccanismo di sospensione delle aspettative”, ha commentato lo storico Presidente del Censis Giuseppe De Rita. Il rischio per l’Italia è quello di restare fuori dai flussi economici globali.

La riduzione degli investimenti esteri dal 2007 al 2013 è stato del 60%. Gli italiani evidenziano inoltre una forte lontananza e una complessiva sfiducia verso le istituzioni europee. Quel che non sembra conoscere crisi all’estero è invece il brand Italia. Il “made in Italy” piace per quel che simboleggia e l’Italia è la quinta destinazione turistica al mondo. Con queste carte si potrebbe fare molto, ma come ha sottolineato ancora De Rita, si è perso il meccanismo motivazionale. Ed in questo contesto si sfaldano i legami sociali ed aumenta la molecolarità del sistema e l’anomia . Quella italiana è una società che arranca stando al Rapporto Censis. E purtroppo basta guardarsi intorno per averne conferma. I giovani – quelli che ne hanno le possibilità – fuggono all’estero alla prima occasione, disgustati da un contesto vecchio e clientelare. In argomento la scelta di De Rita di passare il testimone, a partire dal prossimo anno, al figlio Giorgio (uno dei suoi 8 figli) ha destato molte polemiche. De Rita senior ha risposto che il suo era il curriculum migliore. Ne siamo certi, ma vorremmo ricordare al Professor De Rita che assai sovente curriculum eccelsi non vengono neppure letti in assenza di un cognome che conta o di una buona lettera di referenze… Almeno nell’Italia del 2014.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:31