
L’immagine comparata pubblicata qualche giorno dal Corriere della Sera dovrebbe far accapponare la pelle a chiunque tenga un po', se non alle sorti, quanto meno alla dignità del centrodestra. Quella figura confrontava la mappa del consenso politico in Italia nel febbraio 2013 e nel novembre scorso: in circa un anno e mezzo al cdx sono rimaste soltanto tre regioni (Veneto, Lombardia e Campania), segno evidente che più di qualcosa davvero non va.
Escludendo la Lega di Salvini (che ha dimostrato di aver pienamente compreso come deve funzionare "il gioco"), per tutte le altre forze politiche dello schieramento ogni appuntamento elettorale si trasforma regolarmente in una disfatta, in una figuraccia da dilettanti allo sbaraglio. Eppure dall’altra parte ci sono i voli pindarici senza sostanza dell’attuale premier, o le aberranti alterazioni mentali di un ex comico anch’egli oramai in preda ad una crisi di consenso apparentemente senza ritorno. Per farla breve: con avversari così non si potrebbe non vincere. E invece…
E invece, soprattutto negli ultimi mesi, nell’area moderata si sente parlare di Dudù, di diritti degli animali, di casting per volti nuovi, di gay, di dentiere gratis per gli anziani e, negli ultimi giorni, anche dell’ipotesi di Giuliano Amato (sì, proprio quel Giuliano Amato che assai bene conosciamo) quale possibile candidato al Quirinale. E intanto il Premier fa sapere che il leader del centrodestra “non dà più neppure le carte”. Domandina semplice semplice: è mai possibile che questa sia l’area moderata italiana? E’ possibile che il cosiddetto “cerchio magico” (che di magico sembra avere solo il potere di far scomparire, ad ogni occasione, una marea di voti) possa ancora orientare le scelte politiche di certo centrodestra? Già, certo centrodestra, perché oramai quell’area politica è quasi più frastagliata di un frutto capitato tra le lame di un frullatore.
E allora forse c’è bisogno di riprendere a percorrere la strada della partecipazione, dei congressi (veri) locali e nazionali, della scelta di dirigenti e candidati che non avvenga in stanze ristrette ma con il consenso degli iscritti: le vogliamo chiamare primarie? Se il termine non piace, possiamo anche cambiarlo ma la sostanza resta la medesima. Altrimenti, sull’altro piatto della bilancia, ci sono solo il “renzismo” ed i Cinque Stelle. E, ad oggi, quel piatto è costantemente assai più pesante dell’altro.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:35