
Alcuni dicono che la notte porti consiglio. Non è il caso di Gianfranco Fini al quale, evidentemente, la notte riporta alla memoria i fasti del passato e le frustrazioni del presente da sfogare, manco a dirlo, sulla pubblica piazza di Twitter.
E così qualche sera fa Gianfry ha analizzato con Francesco Storace gli errori di una destra che non si doveva sciogliere nel Pdl, che appare tutt’oggi divisa e che invece dovrebbe trovare l’unità perduta superando le incomprensioni del passato. Sin qui i tweet di Storace a Gianfranco sono stati cordiali, come del resto si usa tra vecchi amici, mentre, di fronte alle avances del suo ex segretario (“Francesco ricominciamo a fare politica dalla Fondazione”), la risposta è stata un niet deciso che non ammette repliche. Chiaro che si tratti di uno scambio di messaggi tra vecchi amici su cui non è il caso di ricamarci su un retroscena e non lo faremo. Sarebbe altrettanto inopportunamente banale ricordare a Fini che gli errori di cui parla li ha commessi lui insieme ad una serie di altre castronerie che si guarda bene dall’analizzare pubblicamente (mero ingresso nel Pdl senza alcuna volontà di costruirlo, ammiccamenti con la sinistra, assi repubblicane con Napolitano, boiate sullo ius soli, trame bocchiniangranatiane…).
Il tema merita risposte meno scontate ed analisi più approfondite, che partono dalle ragioni che portarono alla nascita di Alleanza Nazionale. L’intuizione di Fini (ed in verità soprattutto di Tatarella) fu corretta perché gli anni Novanta segnarono lo spartiacque oltre il quale un partito che rischiava di divenire di testimonianza, nato dal grande risentimento post-bellico, aveva il dovere di evolvere verso un concetto moderno di destra che superasse i vecchi steccati novecenteschi, per cavalcare l’onda post-Tangentopoli che evidentemente premiava le ragioni di un’area politica relegata ai margini da un sistema di potere corrotto e pieno di pregiudizi nei confronti del Msi. L’occasione della riscossa fu cavalcata egregiamente e finalmente Alleanza Nazionale cominciò a non fare più paura perché aveva abbandonato i vecchi stereotipi, iniziando a fare politica e permeando la società, ancora troppo disgustata dalla indecorosa fine della Prima Repubblica, di messaggi nuovi come il patriottismo, la legalità ed una certa forma di decisionismo operoso da contrapporre ad una politica politicante troppo molliccia e poco concreta.
Il progetto era di andare “oltre il Polo” superando cioè un’alleanza elettorale di centrodestra per lasciare spazio ad un’area culturale che tenesse insieme anche le ragioni della destra coniugandole con quelle della classe media post democristiana e di quel Popolo moderato, liberale e repubblicano rimasto orfano di punti di riferimento. Forse Tatarella ci lasciò troppo presto e forse la classe dirigente cui spettava il compito di traghettare la destra rendendola adeguata ai tempi, si mostrò più avvezza alle cadreghe di Governo ed alla gestione del potere e poco propensa a guidare l’elettorato oltre gli stereotipi folkloristici e retrogradi. In questo Fini fu un campione di menefreghismo e preferì accucciarsi all’ombra di Berlusconi attendendo il momento giusto per fargli le scarpe e preparandosi un futuro ed un aplomb da statista.
Il momento giusto stentò ad arrivare ed il nostro ambizioso Gianfry perse la pazienza pensando bene di distruggere il centrodestra ed il suo capo con l’appoggio esterno della sinistra e con la collaborazione del suo ex partito (ormai confluito nel Pdl). Secondo lui c’erano le condizioni per prendere il potere disarticolando il Pdl e ricostruendolo a propria immagine e somiglianza con l’aiuto dei suoi vecchi camerati. Peccato che quel partito (elettorato compreso) confluito nel centrodestra era entrato nel Pdl già morto, perché nessuno (nella fase pre fusione con Forza Italia) lo aveva alimentato, guidato, fatto maturare o dotato di parole d’ordine capaci di tenere unito un popolo (quello di destra) che il suo leader aveva abbandonato da tempo vivendolo con fastidio perché ritenuto inadeguato alla sua caratura culturale e politica. Sarà stato anche vero questo presunto gap culturale della destra ma la soluzione è stata peggiore del male: dopo anni di completo immobilismo tutti ricordiamo gli strappi di Fini e le continue rincorse alla sinistra con cui faceva a gara a chi era più fricchettone.
Sì, perché Fini dovrebbe capire che l’errore non fu confluire nel Pdl ma arrivarci in quel modo dopo aver distrutto una comunità frammentandola almeno in tre parti: una base militante abbandonata a se stessa e per questo mai cresciuta, una classe dirigente rampante ed in eterna lotta oltre che poco politica e molto di potere, un Presidente che faceva vita a parte e non vedeva l’ora di liberarsi del suo Partito essendo intimamente convinto di bastarsi da solo. Questo fu il presunto errore. Ancora oggi non sappiamo se si trattò di errore o se non fu una strategia (poi fallita) studiata a tavolino per spiaggiare la struttura di Alleanza Nazionale ritenuta ingombrante da un leader orientato a mettersi in proprio. Almeno nel momento dello “strappo”, e cioè dopo essersi girato trovando il nulla dietro di sé, reputavamo che Fini avesse capito dov’era il tragico fallimento suo e della destra.
Se ancora brama per ritornare in gioco, passando le notti a tentare di adescare gli Storace sul web o a organizzare adunate virtuali (visto che quelle reali sono andate tutte deserte), è evidente che non ha avuto abbastanza tempo per meditare, per fare un bagno di umiltà e per comprendere gli sbagli. A patto che siano rimediabili.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13