
Tor Sapienza: cosa succede nelle nostre città? O meglio dire: che succede nelle periferie urbane? Siamo a Lima? Nei sobborghi di Calcutta? In una delle baraccopoli che circondano Juba, nel Sud Sudan? Oppure a Gaza?
No, siamo semplicemente a Roma, a Tor Sapienza, a due passi da Porta San Giovanni, terra di missione per dirla come Filippo Neri, dove si combatte per strada tra indigeni e immigrati.
Una guerra di ordinaria marginalità tra cittadini e disperati con un bollettino che non ha nulla che temere in confronto a quelli emessi durante l'Intifada.
Già succede a Roma, culla di civiltà, patria del diritto, tabernacolo dell'accoglienza, Arca di speranza e integrazione!
No, non daremo 'patenti' al Governo, all'Amministrazione comunale, alla politica, alle istituzioni ecclesiastiche, a chicchessia ma un appunto lo vogliamo fare a tutti coloro che esercitano l'ambiguità del prevalente concetto di accoglienza. A tutti coloro che brandiscono la clava del buonismo indossando i panni dei timorosi di Dio colmi di amore per il prossimo che hanno generato questa nuova 'disfida sociale' o meglio chiamata nuova filosofia italiana sull'immigrazione tra diversi per razza, etnia e religione.
I fatti di Tor Sapienza, preceduti da quelli di Rosarno di qualche anno fa e di tanti altri successi in varie parte del Paese sono solo la punta di quell'iceberg di una politica dell'immigrazione e dell'integrazione non lasciata ma rimasta allo sbando per la manifesta incapacità di chi la gestisce.
Una seria politica d'immigrazione si concretizza attraverso la preordinazione degli ingressi, la programmazione della distribuzione sul territorio dei nuovi arrivati e la creazione di canali per chi è di passaggio e per coloro che pensano di restare.
Tutti, invece, sono lasciati allo sbando. Una quota si integra, la più cospicua è sfruttata, il resto delinque.
Allarghiamo spesso le fauci per lasciar uscire valanghe di parole retoriche senza applicare la funzione primaria del 'cervello', unica necessaria perché accoglienza e integrazione diventino fatti non la conseguenza abbondante del fare degli struzzi che non agiscono nel timore di essere accusati di perfidia.
Tor Sapienza è l'infausta sintesi di chi impedisce, la sinistra e frange di cattolici, la razionalizzazione del problema con imbelle fatalismo, con devastante dirigismo e sbrigliato 'laissez faire' all'insegna del buonismo.
La conseguenza è che campagne e metropoli hanno ripreso la fisionomia di un non lontano medioevo e peggio ancora dell'immediato dopoguerra. Accattoni, nuovi poveri, legioni di sottopagati, integrazione zero.
Sento già le voci che maledicono delle prefiche che si 'battono il petto tutte le mattine' e che pontificano dai pulpiti di associazione che 'difendono i diritti umani' perché sostengono che è proibito respingere; riaccompagnare ai confini; accelerare l'apprendimento dell'italiano in classi apposite; sorvegliare moschee fanatiche; imporre comportamenti da normali cittadini a rom o a poligami islamici; controllare le attività dei quartieri ad alta concentrazione etnica; irrompere quotidianamente nei ghetti della droga per rendere impossibile la vita degli spacciatori.
Risultato: un florilegio di illegalità generato da un'immigrazione sregolata che ha diffuso i pericoli un tempo confinati alle zone malavitose d'Italia.
Impotenza dei fatti e inadeguatezza della azioni. Così possiamo solo cercare di capire quanto succede nelle periferie urbane ciechi nel vedere che accanto alla nostra vita quotidiana, esiste un mondo solo apparentemente nascosto dalla nostra abitudine, in cui vivere è difficile.
La riflessione è amara e i fatti reali nel suo sconquasso più assurdo.
Gli indigeni di Tor Sapienza rivendicano il diritto all'essere cittadini di un Paese che si dice normale mentre gli immigrati lungi dall’essere carne sociale passiva, materia nuda da contrabbandare, sono soggetti che decidono di prendere atto della “non collocazione” a cui li destina il nostro Paese. Si inventano un ulteriore paese in cui emigrare, quello della marginalità o della delinquenza, del sottobosco urbano e se possibile della latitanza. Andiamo avanti con analisi magnifiche e resoconti mediatici che non tengono però in conto i costi umani che comportano né il fatto che i protagonisti di questa storia non vogliono essere eroi della nuova rivoluzione, ma pensano di avere semplicemente diritto a una vita decente.
Quanto succede non solo a Tor Sapienza, ma a Tor di Nona, a Valle Aurelia, a Massimina è la somma della tragicità del presente in cui viviamo, un mosaico che fa violenza al senso comune, che scuote per i costi umani che comporta e che ridisegna completamente il paesaggio dell’ovvio cui siamo abituati.
Nella nostra vita quotidiana, esiste un mondo solo apparentemente nascosto dalla nostra abitudine, in cui vivere è difficile, molto di più delle nostre cronache di crisi e di penuria lontano dal romanticismo italico o da facili mitizzazioni.
Per capire quanto succede 'appena fuori le mura aureliane' non servono le teorie di Bourgois e Schonberg, ne le esperienze di Jennifer Toth ma un pizzico di lucidità per fotografare il presente con la lucidità e l’apertura di chi cerca di coglierne nella follia quotidiana i segni umani e disumani. In queste tragedie, conseguenze dell'immigrazione non c'è disinteresse da parte della politica ma solo la volontà precisa della politica stessa di creare quelle che Foucault chiamava “eterotopie”.
Pensiamo a questa situazione su larga scala, a ciò che comporta a livello di destabilizzazione delle società, e poi chiediamoci se non sarebbe molto più intelligente ampliare lo spazio della cittadinanza.
La nostra vocazione dovrebbe essere quella di privilegiare il “capire il mondo” sulla pretesa veloce di “cambiare il mondo”, o meglio, di mettere l’accento sui troppi errori di un transfert che operiamo “politicamente” sulle vite degli altri come materiale per il nostro desiderio di rivoluzione.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07