
Siamo alle solite è il turno della riforma della giustizia! Già proprio quella riforma: oggetto primario del contendere di ogni inizio di Legislatura e che puntualmente chiude il ciclo parlamentare senza un nulla di fatto. Perché? Ogni volta che si sente parlare di riforma mi torna in mente un aforisma di Aldo Bozzi, che divertito diceva: 'E' un po' come la sora Camilla che tutti la vogliono ma nessuno se la piglia'.
Va bene, la riforma di quella civile sembra, sebbene i molteplici 'mal di pancia' oramai in dirittura d'arrivo con il voto di fiducia della Camera. Però, sempre un pannicello caldo è! Una riforma che non ci soddisfa, perché puzza dell'ennesimo miracolo relativista del renzismo. Ma quella globale? Questo sì che è un problema, un problema serissimo visto che ogni volta che se ne parla non manca qualcuno che gridi al complotto sostenendo l'incostituzionalità della presunta legge e minacciando scioperi più o meno bianchi. Dichiararsi 'sacri custodi' del 'Verbo' della giustizia e lanciare proclami di sciopero, non solo è un esercizio atipico ma anche costituzionalmente discutibile, perché la magistratura non è una corporazione, ma un ordine che esprime il più elevato potere dello Stato, cioè quello di rendere e applicare non di negare giustizia.
Troppo spesso si dimentica che il Parlamento e solo il Parlamento è titolare e responsabile della formazione delle leggi. Chi amministra la 'Giustizia', secondo la Costituzione, dovrebbe sentirsi 'soggetto solo alla legge' e non dimenticare che l'attuale ordinamento giudiziario è datato 1941, in piena epoca fascista, quindi ampiamente pre costituzionale. La riforma dell'ordinamento giudiziario è dettata dalla necessità di modernizzazione, dalla razionalizzazione dell'attività giudiziaria e dall'esigenza, questa sì costituzionale, di tutti coloro che 'chiedono giustizia'. Tutto questo nel segno di una maggiore esigenza di equilibrio processuale oltre che di una superiore professionalità di chi è chiamato ad amministrarla 'in Nome del Popolo Italiano'.
Certa magistratura che prospetta solo disastri solo perché crede di essere investita di un 'potere soprannaturale' dovrebbe cominciare a fare un pio esame di coscienza, aggiornarsi per acquisire maggiore professionalità e più umiltà, non basandosi solo su una carriera fondata 'sul volgere del tempo' e sulla carriera cilindrica che ne deriva ma sulla base delle qualità che si affermano e che vanno riconosciute attraverso serie verifiche professionali.
Niente vittimismo, dunque, perché il magistrato deve trovare nella razionalità oltre che nella cultura giuridica il fondamento della propria indipendenza morale e professionale. Il tempo delle 'Procure a colori' e dei 'comizi di Rito ambrosiano' sono lontani. Ora serve un colpo di reni per instaurare il dialogo, parola magica, che tende a stemperare le tensioni e a sollecitare ragionevolezza. Le minacce di sciopero da parte della magistratura per la cancellazione di qualche privilegio sono posizioni contemporaneamente conservatrici e antieuropee, unilaterali e pregiudiziali.
Minacciare lo sciopero bianco è minacciare uno sciopero politico, perché non motivato da conflittualità tra datore di lavoro e prestatore d'opera, ma tra lo Stato e un 'ordine' costituzionalmente rilevante (non un potere) soggetto solo alla legge. E poi perché assumere il ruolo di controparte sindacale intensifica palesemente l'intenzione di tante 'anime belle' che temono le riforme e le innovazioni. La politica deve avere un sussulto di dignità e al di là delle 'conventicole' deve abbandonare il ruolo vicariale e riassumere il ruolo di punta di legiferare e onorare il mandato ricevuto dal popolo che è l'unico titolare della sovranità di questo Paese. La Giustizia è per i cittadini e non per le prerogative degli addetti ai lavori.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06