L’Europa è da rifare

Dal primo novembre è entrata in carica la nuova Commissione europea presieduta dal lussemburghese Jean Claude Juncker il quale, strappata la fiducia del Parlamento europeo, ha detto che il suo esecutivo europeo è quello “dell’ultima chance”. L’Europa è in una drammatica crisi economica, di consenso e legittimità. In realtà non è solo l’euroscetticismo che è prevalente, o il fatto che spuntano come funghi separatismi e virulenti nazionalismi, o che la Gran Bretagna voglia uscire sentendosi anni luce lontana e prendendo le distanze - sull’immigrazione, frontex e il disastroso Alfano ha sicura ragione -è la stessa integrazione europea che, coincidendo con la crisi finanziaria debitoria ed economica, alimenta recise prese di posizioni contro questa Europa.

Ad oggi c’è l’Europa unita bancaria che pone la condivisione della sovranità tra gli Stati membri con il meccanismo di stabilità europeo – tecnicamente l’European stability mechanism – e la vigilanza bancaria della Banca centrale europea, ma gli stessi Stati sono per lo più a pezzi economicamente e socialmente, e solo in Italia, in base a un recente sondaggio, quasi il 50 per cento degli italiani considera l’euro una pessima scelta. L’Europa è percepita come quello che è, cioè lo stipendificio inutile e di lusso cui ambire per sé, data l’influenza totalmente nefasta e dannosa che ha sulla vita collettiva italiana, un nuovo ente cui pagare contributi esosi al di sopra delle nostre reali possibilità e conseguentemente per il quale essere tassati per dare da mangiare anche a lui, all’Europa.

Non si può dare torto agli italiani. Se si spiegasse che l’Europa, nel progetto originario, non era stata concepita né minimamente voluta in questo modo, se si mettesse mano con fermezza ai conti europei oltre che a quelli italiani, se l’Europa riprendesse le sue stesse fila, costituendo l’Unione politica, e rimodulando l’euro, si desse cioè, alla luce di ciò che è scritto nei Trattati, una nuova organizzazione e nuove regole, se ricomponesse una politica economica espansiva al posto di quella imposta colposamente o dolosamente con errore negli ultimi quindici anni e che ha portato all’incancrenimento delle economie dei Paesi che la compongono (e a vantaggio di alcuni altri, come la Germania), certo, non si starebbe qui a fare i conti con un’insofferenza che cerca il buco da cui esplodere e poter deflagrare.

Ma chi ci pensa? Chi ci arriva? Oggi la nuova Commissione Juncker presenterà le previsioni economiche da cui dipendono le analisi dei bilanci degli Stati nazionali per il 2015 e l’apertura delle procedure contro l’Italia e la Francia. E questo sarà il primo errore che farà la Commissione e Juncker contro l’Europa della sua impostazione e concezione originaria. Successivamente, entro dicembre 2014, la nuova Commissione deve presentare il piano tanto annunciato da Juncker degli investimenti per 300 miliardi di euro, poi c’è un accordo di libero scambio da concludere per l’Europa con gli Stati Uniti, al momento in discussione, e ci si dovrà occupare delle crisi nel vicinato europeo e lì si avvarrà dell’aiuto della renziana Mogherini che, da precaria del call center moglie di un amico di Veltroni, darà il suo valido contributo.

Precisamente ci si dovrà occupare del fronte ucraino, di quello siriano, di Iraq e Libia, dei rapporti con la Russia e con gli Stati Uniti. E vi ho detto tutto. Questa Europa, così contestata e debole oltre che scassata economicamente, “armata” adesso dell’amica della sinistra italiana, divisa su tutto tra i ventotto Paesi che si ostinano a farne parte, totalmente impotente, va a spiegare al mondo di esistere. Quando una matassa di lana si è ben bene raggomitolata, diviene difficile rintracciare il filo che la potrebbe sbrogliare. Dopo quindici anni di mancata applicazione dei Trattati le condizioni sono mutate e sono quelle che abbiamo davanti agli occhi.

La ricerca di una via di uscita, a dire la verità, è divenuta difficile. L’integrazione europea era stata pensata come un arrivo per gradi ad un regime di cambi fissi, e di fatto ad una moneta unica, quale la più grandiosa ed originale utilizzazione di uno strumento giuridico, l’euro, mai avutosi nella storia umana. Si era concepita la creazione di un organismo, l’Unione europea, che sarebbe stato terzo nel mondo per dimensione, dopo la Cina e l’India, e il più ricco alla pari degli Stati Uniti, operando con i due mezzi quali, da un lato, il consenso di Paesi che per secoli si erano combattuti con ferocia, e dall’altro, la normazione giuridica. Un obiettivo che sarebbe andato molto al di là degli originari propositi.

Il nuovo organismo avrebbe dovuto costituire un prototipo, riproducibile in altre aree del mondo, che avrebbe soddisfatto le insorgenti esigenze date dal processo di globalizzazione che si stava sviluppando. Al nuovo organismo era stato assegnato l’obiettivo non di una crescita massima, ma di una crescita sostenibile. E nella scelta dell’aggettivo “sostenibile” era contenuta un’intuizione geniale. In funzione della sostenibilità si erano introdotti cioè valori di riferimento relativi al debito ed all’indebitamento (3 per cento nell’indebitamento e 60 per cento nel debito rispetto al Pil) che sarebbero stati utilizzati per introdurre limiti alla crescita. Il 3 per cento, applicato in conformità ai principi stabiliti nell’art. 104 c) del Trattato sull’Unione europea, avrebbe consentito lo sviluppo comune, ma nello stesso tempo lo avrebbe consentito entro limiti compatibili con la sua sostenibilità.

La missione della crescita, come si è più volte ricordato, era ed è stata affidata dal Trattato sull’Unione europea agli Stati membri, i quali vi provvedono con le loro politiche economiche, che devono essere autonome e svolgersi in concorrenza. Il Patto di stabilità e di crescita (Regolamento n. 1466 del 1997 e successivi), con il principio della parità del bilancio, ha invece provocato gli effetti depressivi che vediamo perché ha eliminato la concorrenza tra soggetti omogenei e l’ha sostituita con l’assegnazione autoritaria di compiti. Ha di fatto colpito al cuore lo straordinario progetto che i Paesi fondatori erano riusciti a mettere a punto e che si sarebbe dovuto realizzare, mandandolo al contrario in frantumi. Forse sarebbe meglio che oggi euroscettici, nazionalisti e separatisti, insieme a Londra e a metà degli italiani, spieghino a questa Europa, alla nuova Commissione Juncker, che per ora esistono solo i loro esosi stipendi, e il resto è un’elucubrazione del progetto originario europeo. Un incubo targato Merkel (e Napolitano per l’Italia).

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:37