Timing Review

Che il problema del tempo sia da sempre un rompicapo per i filosofi e per i fisici non toglie che, nella sua versione pragmatica, esso presenti contorni piuttosto ben delineabili in quasi tutte le attività umane. La sconcertante vicenda dell’allagamento di Genova a causa dei tre anni persi nell’attesa, vana, della ristrutturazione di alcuni canali nonostante la disponibilità dei fondi necessari, non è un problema filosofico ma pratico e la sua mancata soluzione, come è noto, è il risultato dell’ingorgo di numerosi processi burocratici e legali. Si tratta di una nutrita serie di atti ognuno dei quali si basa su precise condizioni di legittimità ma che, sommati, danno luogo ad una espansione incontrollata dei tempi.

Incolpare di tutto questo la burocrazia è però parzialmente ingiusto. Intendiamoci. Che non raramente gli uffici pubblici siano ancora oggi sede di lungaggini evitabili è sicuro: chiamatela flemma o sciatteria ma non v’è dubbio che la lentezza, nella nostra burocrazia, è una realtà molto diffusa. Tuttavia, chi lavora in quegli uffici non viene da un altro pianeta. Semmai, si tratta di persone che, per la natura stessa del proprio lavoro, non hanno se non una visione parziale della sua rilevanza e, di conseguenza, non possono contare su forti motivazioni.

Anche e forse soprattutto a loro, insomma, si può applicare il concetto di divisione o parcellizzazione del lavoro entro un iter complessivo non sempre chiaro. La cosa riguarda anche le aziende private, soprattutto se di grandi dimensioni e, ciò che è più interessante, l’informatizzazione dei processi non sembra aver migliorato la situazione se non in alcuni settori particolarmente sensibili alla velocità del calcolo e dell’elaborazione dei dati.

Per il resto, la velocità di evasione delle pratiche si scontra con l’accresciuta quantità di dossier da un lato e delle norme, italiane ed europee, dall’altro. Il vero problema, che sta al cuore di quello generale, non è quindi, presumibilmente, nella produttività del lavoro burocratico ma nella estrema ramificazione dei processi e nella sua ulteriore ‘arborescenza’ nel tempo, come la fioritura dei ricorsi evidenzia ad ogni occasione.

La ‘durata’ di qualsiasi processo non è dunque qualcosa di soggettivo di bergsoniana memoria, che si collochi nella nostra impazienza o nella nostra ansia di superare ostacoli formali e sgradevoli tali da rendere l’attesa interminabile, ma un esito oggettivo praticamente inesorabile e dannoso per l’intera comunità. Accanto, e forse addirittura prima, di review contabili e finanziarie il Governo dovrebbe avviare una vera e propria timing review per cercare di capire, per ogni classe di processi burocratici e legali, quali sono i rami secchi da eliminare o accorpare e quale temporizzazione sia comprimibile senza danno per la certificazione e per le altre garanzie che, nell’insieme, fanno della burocrazia un bene necessario.

Pronto però a divenire un male mostruoso se non accuratamente progettato come qualsiasi altra macchina. La stessa rapidità nella presa delle decisioni, di cui il Governo attuale dichiara di farsi paladino, risulterà vana se, ad essa, non corrisponderà una revisione del sistema all’interno del quale le decisioni devono concretizzarsi in azioni. Sarebbe come rendere più veloce il nostro computer a fronte di una rete che rimanesse lenta e inefficiente. Una pura perdita di tempo, appunto.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:29