Se Apicella e Vecchioni   fanno il duetto...

Partito liquido o partito solido. E’ un discorso molto cool di questi tempi su cui si esercitano le migliori firme del giornalismo e le più fulgide menti della politica italiana.

L’ultimissimo caso oggetto di analisi è quello relativo alle spaccature nel PD ma il fenomeno è talmente trasversale da indurre sommessamente ad ipotizzare che il modello cui si ispira la politica negli ultimi tempi sia quello del Partito in avanzato stato di decomposizione.

Qui non si tratta di contrapporre un modello farraginoso come quello tradizionale ad un modello più veloce ed adeguato ai tempi (il che sarebbe anche una cosa positiva); qui si tratta di capire se i Partiti siano ancora i luoghi in cui si discute e si elabora, animati da una comune piattaforma valoriale, o se siano solo quella disordinata inconcludente guerra tra bande cui si assiste negli ultimi tempi.

Propendiamo per questa seconda ipotesi e sospettiamo anche che stia accadendo ciò che recita quell’antico adagio in base al quale la gatta frettolosa fa i figli ciechi.

E si vede dalla scarsa lungimiranza con la quale i leader, dopo aver scalato con troppa celerità le posizioni, amano sentirsi soli al comando scegliendo di cooptare i più comodi utili idioti, cerchi magici, amazzoni e parlatori a sproposito in luogo di quelli più bravi ma impegnativi.

Il risultato di tali scelte è modesto e lo si scorge dalla ondivaga linea politica declinata quotidianamente, che appare cangiante di ora in ora a seconda del consigliere con il quale il leader ha di volta in volta discusso la strategia.

Ciò ingenera un giustificato disorientamento in un elettorato che attende di farsi guidare e riceve in cambio confusione e scoramento destinato presto a divenire rabbia.

Parlano tutti a ruota libera compresi i giornali, quegli organi di Partito che dovrebbero essere i custodi dell’ortodossia politica e che invece cambiano opinione come fossero calzini sporchi.

E’ il caso, per esempio, di Menichini che dalle colonne di Europa ha sempre attaccato il centrodestra, reo di governare a colpi di maggioranza, mentre oggi incita Renzi a fare lo stesso, forse sperando che i suoi lettori non ricordino gli anatemi contro “coloro che deturpavano la Costituzione” in modo autoritario o forse per dare copertura mediatica ad un metodo di governo molto criticato a sinistra ma non certo dal suo datore di lavoro.

Anche in materia economica sembra che siano diventati tutti liberisti così come furono tutti europeisti, federalisti, meridionalisti, nordisti, rigoristi, sviluppisti …

In questo ciarpame di luoghi comuni, peccato che nessuno si accorga che il testo del Jobs Act in discussione in Parlamento sia una roba su cui non vale neanche la pena litigare perché trattasi di una delega al Governo priva di contenuti che mai sarà portata a termine perché nata nella solitudine di un ristretto gruppo pseudo dirigente e senza un minimo supporto scientifico che ne sorregga il confuso impianto (i decreti attuativi arriveranno forse nel 2015 quindi stiamo veramente chiacchierando di niente).

In pratica si vorrebbe togliere l’acqua al pesciolino rosso (il lavoratore) e nel contempo dargli il mangime (il tfr), che tra l’altro ha comprato lo stesso acquatico, pretendendo di convincerlo che così starà meglio.

Ma queste sono le solite dichiarazioni di intenti, le solite sparate buttate lì per dare alla gente l’impressione che qualcosa si muova tentando nel contempo di convincere (bubù) la signora Merkel a non metterci dietro la lavagna. La quale Merkel ha già cominciato con le lodi sperticate al Jobs Act tipiche di quando sa benissimo che un provvedimento non sarà applicato, che “sotto l’annuncio niente” e che quindi tocca stanare il topino furbastro col formaggio.

Nel frattempo guai a dire al Capo dall’ego gigantesco che ha partorito una boiata pazzesca perché altrimenti addio alla carriera ed all’inatteso posto sicuro nell’inner circle di sculettanti in blu ministeriale.

Che poi, a ben vedere, i cerchi magici creano anche una sorta di logorrea dichiarativa come nel caso di Forza Italia e dei diritti civili.

In questi giorni si sono esercitati tutti ad incasinare non poco le idee alla gente sulle unioni tra omosessuali e molto spesso qualcuno, in maniera subdola e sfruttando la propria posizione privata, ha espresso idee a titolo personale tirando dentro il dibattito un intero partito a dimostrazione del fatto che certe volte il confine tra pubblico e privato è così flebile da suggerire cautela.

Intendiamoci, schierarsi a favore dei diritti omosessuali è facile oltre che giustissimo ma, proferire solo questa proposizione di principio senza aggiungere altro, rischia di far credere al cittadino che non esistano più differenze tra Luxuria e Berlusconi.

Invece le differenze esistono e chi ha dato incautamente fiato alle trombe avrebbe dovuto aggiungere, a puro titolo di esempio, che i diritti omosessuali finiscono allorquando si parli di adozioni o allorquando si pretenda di celebrare veri e propri matrimoni che nulla hanno a che fare (nemmeno semanticamente e pragmaticamente) con le unioni di fatto.

Basta quindi frequentare i giri giusti per potersi permettere di esternare a sproposito su tutto: dallo spettacolo (a loro dire) straordinario delle primarie e della partecipazione demcrat, passiamo ad un partito che viceversa non ha bisogno di tesserati; dalle conquiste del lavoro da tutelare opponendosi alle riforme reazionarie della destra, passiamo al Jobs Act; dalla difesa integralista della sacralità della famiglia tipica di un partito semiconfessionale, passiamo allo sbraco più totale in tema di diritti civili.

E’ questo il new deal della politica italiana, quello nel quale se alzi il ditino e parli senza essere nel giro giusto sei un traditore che vuole fare ombra al capo, quello nel quale il leader ama discutere più con la controparte che all’interno del Partito, quello nel quale le posizioni opposte tendono a mischiarsi fino a sovrapporsi generando dubbi mischioni trasversali.

Tra poco vedremo Apicella vincere Sanremo in duetto con Vecchioni. Ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede il Paese. Sarà un successo.

E lo chiamano superamento delle posizioni ideologiche. L’antipolitica ringrazia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06