L’amara parabola   della giustizia italiana

Forse alla luce del sedicesimo voto consecutivo a vuoto alla Consulta, tutti coloro che hanno a che fare con la giustizia dovrebbero fermarsi e riflettere e, come è d’uso dire ma nessuno lo fa mai, fare un passo indietro. Compreso Giorgio Napolitano, che presiede il Consiglio superiore della magistratura e che ai giudici deve la protezione speciale di cui ha beneficiato per tutta la sua vita, non solo politica. Nonostante cioè ci siano alcuni, tra i giudici, che fanno il proprio mestiere, è da anni in corso l’impazzimento della magistratura italiana e, conseguentemente della nostra giustizia.

Se una volta il giudice rappresentava una carriera statale impiegatizia mediamente onorevole, e in tal senso era percorsa da persone mediamente di buon senso, serie e oneste che ponderavano la gravità delle decisioni prese, oggi, e da tempo immemorabile, non è più così. Il ruolo di giudice è vissuto, nella migliore delle ipotesi, come lo stipendificio pubblico (sono molto ben retribuiti considerati gli orari di “lavoro”) utile a fare da ovvio trampolino di lancio verso ancor più spettacolari e meglio retribuite funzioni, sempre e solo in ambito pubblico. Che si sappia, infatti, non si è mai visto un magistrato mollare la toga e darsi, per esempio, ad un’impresa economica e produttiva. È tutto un loro rigirarsi nella sporca melma della giustizia italiana.

Si osservi il novello candidato Caramazza alla Corte Costituzionale (che solo gli sprovveduti non sanno di cosa si tratti e quale curriculum abbia), o Violante, idem come sopra. Ignazio Francesco Caramazza, in qualità di avvocato generale dello Stato, è colui che ha rappresentato Giorgio Napolitano nel conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato contro la procura di Palermo sul caso delle telefonate intercettate nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Luciano Violante è stato, ed è intimamente del Partito comunista italiano grazie a cui ha occupato ogni sorta di poltrona politica pubblica disponibile, agguantata da lui, uomo per tutte le stagioni. Violante dimostra tuttora in maniera eclatante, con la propria inclinazione e naturale disponibilità a sostenere ogni tipo di tesi credo o partito, che, pur di “acchiappare” ed occupare la qualsivoglia, si può fare la qualsivoglia, essendo pertanto inaffidabile nell’animo e nella persona, ovunque lo si sia messo o si metta.

Di fronte all’ulteriore spettacolo triste e indegno in corso alla Consulta, ogni italiano ormai vuole e preferisce una nuova Corte costituzionale, e non solo nuovi giudici, ma tutta una nuova Corte. Tutto è, in sostanza, da rimodellare, in modo da risultare più aderente a una realtà che è cresciuta in maniera complessa, ma soprattutto è terribilmente nuova e non si declina più con niente di ciò che appartiene a solo ieri. Che effetto volete che facciano adesso, agli italiani, quei poveri figuri di Luigi de Magistris, o di Antonio Ingroia, o Antonio Di Pietro? Gli italiani hanno capito benissimo. Sono ognuno a ridosso, e in cerca di un sempre più corposo stipendio pubblico o successo da raggiungere, costi quel che costi, e sulla pelle degli altri, gli italiani. E l’arretrato? Se ne fregano. Ai giudici, soprattutto quelli riciclatisi in politica, non interessa affatto l’arretrato, non lo vivono come un loro problema, ne parlano come di qualcosa di estraneo, spesso ridendone. Non si pongono mai il problema dell’esserne responsabili, se ne fregano abbondantemente dell’arretrato, così come degli italiani e del Paese che li nutre profumatamente. Bisognerebbe intentare una causa collettiva risarcitoria contro i giudici italiani dagli gli italiani stessi, altro che.

De Magistris, Ingroia e Di Pietro (ma ce ne sono tanti altri) da giustizialisti verso gli altri, sono divenuti super garantisti quando si è trattato, come adesso si tratta, di se stessi. De Magistris ha “toppato” praticamente tutte le inchieste di tutti i processi (esiste un’associazione delle vittime di De Magistris, davvero!) di cui è stato accusatore, usando disinvoltamente a propri fini la “giustizia” impartita come una vera e propria pesante mazzata contro e sulla testa degli altri, sulle loro vite e sulle loro famiglie, per fare “carriera” e saltellare allegramente in politica, dove il disastro da sindaco dei napoletani è sotto gli occhi di tutti, prima è stato persino europarlamentare dell’Italia dei valori (quali valori?). Ingroia è talmente nullo che mi risulta persino sbagliato scriverne, perché mi sembra di dargli una rilevanza immeritata tanto quanto inesistente.

Ingroia si è erto sui cadaveri sanguinanti di Falcone e Borsellino, per recitare a se stesso e indegnamente la parte di giustiziere antimafia ma in realtà puntando anima e corpo dritto al “posto al sole” (almeno lui lo ha considerato tale), cioè alla politica. Dopo il disastroso risultato elettorale (la gente non è scema, ci vede benissimo), è tuttora aiutato pietosamente da Crocetta (il siciliano più detestato dai siciliani che non lo tollerano più ma non sanno come fare a levarselo di torno) e riceve tuttora lo stipendio pubblico - ca va sans dire - nella veste di commissario di una società regionale per l’informatizzazione e di commissario della provincia di Trapani, essendo tuttora pure indagato, insieme a Crocetta, per danno erariale. E infine Antonio Di Pietro, l’arbre magique dell’Era di Tangentopoli che, sulle spalle degli italiani, ha arraffato di tutto e di più (giacciono all’Idv milioni di euro di rimborsi politici, nessun giudice della Corte dei Conti ha niente da dire?) e che tanto deve a tutti noi, economicamente parlando.

Di Pietro è l’emblema non solo dell’arricchimento personale in politica (sempre a carico del pubblico, con i fondi del partito, ha acquistato decine di immobili), ma dall’idea becera che le sentenze debbano scrivere le carriere politiche e la vita democratica del Paese (Napolitano docet). Cosa ha fatto infatti Di Pietro se non deviare, ai tempi di tangentopoli, la vita del Paese? Di Pietro si è scagliato politicamente contro gli stessi che un momento prima indagava come giudice fondando in politica quel partito che è stato ribattezzato dal popolo italiano “la banda dei valori” per sé e famiglia.

Perché gli italiani non chiedono i danni oggi a questi giudici politicizzati? Perché non si circoscrive e si riporta, contestualmente alla introduzione e alla estensione delle possibilità di via di giustizia (una giustizia diffusa, con arbitrati, mediazioni, negoziati, conciliazioni eccetera), a ragione il protagonismo politico e la sovraesposizione mediatica dei giudici italiani? Perché non si riconduce la posizione extra ordinem della giurisdizione in Italia a controllo? Essa non ha eguali nella storia di moltissimi altri Paesi in Europa i quali non conoscono nei propri ordinamenti il regime italiano costituzionale di indipendenza e di autonomia dei giudici e della magistratura, come è da noi. Il principio di autonomia e di indipendenza è da sempre la debolezza complessiva del nostro sistema istituzionale, amministrativo e politico. Si cambi. (Sul tema ho pubblicato un altro libro dal titolo “Europa, Stato, Unità. L’unione fiscale bancaria politica europea e lo Stato italiano”).

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17