
La guerra dei cloni in tv non appassiona più tanto. Ballarò di Massimo Giannini e Dimartedi di Giovanni Floris viaggiano ormai con numeri bassi sia di telespettatori che di share. Flop costosi sia per Raitre di Andrea Vianello, che ha scommesso sull’arrivo dell’ex vicedirettore di Repubblica sia per l’editore Umberto Cairo responsabile di aver inflazionato La7 di talk-show tutte le prime serate tv.
Dati alla mano ci si è accorti che le due trasmissioni, che dovevano costituire l’appuntamento principe della nuova stagione, sommate insieme fanno meno share e meno audience dell’anno scorso quando Floris, nato e cresciuto in Rai, grazie anche al comico Crozza calamitava in media dai due ai tre milioni di telespettatori. Dopo un’estate combattuta a colpi di spot e di contratti a molti zeri ora la situazione si va stabilizzando. Il pubblico televisivo interessato in prima serata alle vicende politiche non supera il 10 per cento. E’ stanco dei vecchi giochetti contrapposti spacciati per pluralismo. Tanto rumore per nulla? La media delle prime tre puntate di Floris è stata di 880mila telespettatori su La7, con una percentuale intorno al 4 per cento. Giannini raccoglie qualcosa in più, di poco oltre il milione, con uno share sotto al 7 per cento.
E’ valsa la pena di impegnare tante energie, sborsare tanti milioni per contratti e collaborazioni? Giannini e Vianello si sono scatenati nel cercare ospiti che attirassero il pubblico e l’attenzione generale, compreso Roberto Benigni. Tra i consulenti di Ballarò ci è stato segnalato anche l’editorialista della Stampa Federico Geremicca: nel sito della trasmissione non è specificato però per fare cosa e quanto costa la sua prestazione. Una pletora di collaboratori anche per Floris: Crozza, Pagnoncelli. Un esercito di precari per tutte e due le trasmissioni con contratti da settembre a maggio.
Sono numeri che dovrebbero far riflettere sia Vianello scaricato nelle scelte di Ballarò dal direttore generale Luigi Gubitosi sia Umberto Cairo il quale non contento di clonare Ballarò ha piazzato approfondimenti tutti i giorni con tanto di mal di pancia da parte dei giornalisti di punta come il direttore Enrico Mentana, la titolare di Otto e Mezzo Lilli Gruber e di Michele Santoro che ha confermato l’appuntamento storico del giovedì. Ma Michele, una vecchia volpe del mezzo televisivo grazie all’esperienza con Angelo Guglielmi e Balassone su Raitre, è stato il primo a gettare le mani avanti. Il talk, così come è andato avanti, è morto. Della crisi ha risentito anche “Servizio pubblico” che nella prima puntata del 2014 si è fermato ad un milione e 203mila spettatori per uno share del 5,78 per cento. Con ospite Berlusconi attirò 9 milioni di telespettatori.
Per giustificare il cattivo andamento di questo tipo di trasmissioni, Santoro ha tirato fuori dal cappello la sua filosofia intellettualistica ed ha scritto una lettera per mezzo di Facebook ai suoi tifosi precisando di “non condividere la scelta di riempire all’inverosimile la programmazione di trasmissioni di approfondimento, i cosiddetti talk-show, che con il venire meno nella società di grandi contrasti e con la scomparsa dei partiti hanno creato nel pubblico una specie di nausea e un vero e proprio rigetto”. Anno zero. Non vanno bene neppure le altre trasmissioni da Presadiretta di Riccardo Jacona a Virus di Nicola Porro, da La Gabbia di Paragone a Gazebo di Zoro, in attesa di rivedere Report di Milena Gabanelli. C’è un però. Perché Porta a Porta di Bruno Vespa, Matrix di Luca Telese, Quinta Colonna di Paolo del Debbio vanno bene nonostante gli orari non proprio felici? E’ un altro giornalismo?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:09