
Ho molto riflettuto prima di scrivere quanto appresso perché sentivo e sento, per mia sfortuna sentirò sempre le voci, il pianto, le grida e la conseguente lacerazioni delle vesti delle tante prefiche omologate e dei tanti siticines (suonatori di tromba) e plauditores che esternano il loro ipocrita e prezzolato dolore nei confronti di quanto, rafforzato dalla consapevolezza delle mie idee di libertà, sto per scrivere.
Non temo le squillanti voci delle corifee di turno, neanche alte grida di dolore, 'u tribulu (il tribolo), i simulati scoppi di pianto accompagnati da gesti di disperazione e da segni apparenti di dolore, quale lo scuotere la testa facendo ondeggiare i capelli disciolti, il battersi con violenza il petto e il singhiozzare.
Chi crede nella Giustizia, nel Diritto e nel Garantismo è immune da queste esternazioni che si trasformano quasi sempre in manifestazioni del più becero giustizialismo e forcaiolismo umano.
Premetto che sono allergico al circuito mediatico dei pronunciamenti e al sistema leguleio della tradizione ma mantengo rispetto per l'Autorità, non satrapica, della Chiesa e del Pontefice, sia per nascita che per educazione familiare nonchè per la formazione liberale e garantista che ho ricevuto.
Non giustifico nessun crimine e nessun criminale anzi esigo che il reo venga punito e che il crimine sia sanzionato secondo delle regole universali che si addicono solo agli uomini liberi e razionali.
Leggendo i titoli dei giornali che strillavano l'arresto del Monsignore pedofilo in Vaticano, anzi che Papa Francesco aveva ordinato di persona l'arresto del Monsignore ho avuto un sobbalzo sediale e un conato di vomito. Perché? Semplice!
Per un attimo ho vestito i panni di Cornacchia, quel ciabattino romano che si beffava cagnescamente della sovranità del cardinale Rivarola e metteva alla berlina le prosopopea del colonnello Nardoni, capo della polizia papalina, e scrivendo quanto testé mi sono sentito in predicato di scendere le scale di Castel Sant'Angelo. Perchè? Hanno riaperto la fortezza di Castello? Ci sono manipoli di zuavi in giro per Roma che danno man forte alla polizia papalina? Di più forse è arrivato nell'Urbe direttamente dalla Santa Cruz di Segovia Tomás de Torquemada?
Non fantastico e neanche sono ubriaco, perché astemio, però in quest' 'Anno del Signore' non c'è l'Inquisizione e tanto meno un Papa Re. Anzi no, c'è sempre un Papa che non è re ma che, anche dopo l'ingresso della fine del potere temporale, ha mantenuto la plenitudo potestatis che gli assegna giuridicamente tutte le prerogative che per il Papa Re erano previste.
Non contesto il merito delle accuse mosse all'Arcivescovo pedofilo ma il metodo con il quale, il suo arresto, è stato dato in pasto all'opinione pubblica.
Non voglio identificarmi nella solita voce fuori dal coro ma solo essere coerente con l'educazione che mi è stata impartita.
Mi chiedo: ….e la correzione fraterna? Con lo sciacallaggio mediatico e con la canea che si è generata, ritengo che sia stato commesso un grave vulnus del Diritto. Naturalmente, lo stesso discorso va fatto per le tante intercettazioni pruriginose nei confronti di tanti politici date in pasto al pubblico ludibrio negli ultimi vent'anni. Nel caso dell'Arcivescovo, indiziato ma non condannato, l’insegnamento evangelico della 'correzione fraterna' è stato maggiormente disatteso.
Da ciò ci rendiamo conto di quanto si è molto infantili nel vivere la dimensione comunitaria della nostra fede, ammesso sempre che ne abbia una, ossia nel sentirci responsabili della fede e della vita degli altri, quanto poco siamo ancora fratelli perché viviamo la fede a un livello molto individuale.
La correzione fraterna di fatto non la si fa quasi mai. Davanti agli errori degli altri siamo facili a fare gli scandalizzati, a spargere ai quattro venti gli errori del prossimo, parlandone a tutti fuorché al diretto interessato. E se questo atteggiamento ci riesce bene d’altro canto proviamo un sacco di resistenze nel vivere l’atteggiamento che quel tale, modesto falegname di Galilea, ci insegna (“parlane tra te e lui solo”). Questo, cari signori, è indice di quanto poco sentiamo fratello l’altro e quanto poco ce ne sentiamo responsabili.
La ritrosia nel vivere la correzione fraterna la conosciamo tutti:.......”Sono fatti suoi, non tocca a me, tanto quello non cambierà mai...”. Correggere non è semplicemente rimproverare, ma è cum- reggere, cioè portare il peso di una debolezza, di un errore, di un problema, perché chi è caduto in errore non si senta solo.
E’ già faticoso voler bene a chi se lo merita ed è buono, ma amare chi è debole e portare assieme a lui il peso della sua debolezza, senza condannarlo, è segno di vera condivisione.
Troppo facile, arrestare, condannare, giustiziare mi sembra come tornare al controsenso della pratica del 'rogo e dell'aspersorio', anche perché in quest'Anno del Signore non ci sono Targhini e Montanari e non sono neanche resuscitabili le vecchie pratiche, tutte curiali, del tutto ottunde e del tutto oblìa.
Ho la triste sensazione che la rapidità del giudizio sia inversamente proporzionale alla complessità della gravità del fatto. Non servono convincimenti già formati, si corre il rischio di armare impropri plotoni d'esecuzione e neanche iniziative jus singolaris ma coerenza garantista, perché si è davvero garantisti quando si pongono norme sostanziali rigide accompagnate sempre dal massimo delle garanzie del giusto dei diritti. Questo vale per tutti. Nessuno escluso.
Infine, corretta l'azione del Papà, non la pubblicità morbosa della vicenda perché ritengo che solo il silenzio che giustifica il male per non far scandalo può confondersi con la complicità.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:47