L’Europa e l’Italia   che noi vogliamo

Gli italiani non sono tutelati perché chi è nel lavoro pubblico non fa il proprio mestiere, in ogni caso ne è totalmente deresponsabilizzato. Le persone non fanno il proprio lavoro perché impiegate in servizi o impieghi pubblici che, di per sé, deresponsabilizzano. E’ lo Stato stesso a non sottostare, rispettare od onorare qualsivoglia responsabilità. Basta pensare agli oltre sessanta miliardi che l’amministrazione pubblica deve ancora pagare alle imprese, e per i quali si sono accumulati ad oggi altri debiti per interessi di mora per ben dieci miliardi.

Il ministro Delrio continua a sostenere le tesi di Renzi adducendo che resterebbero da pagare una trentina di miliardi, mentre è in base a risultanze oggettive provato che il governo dice il falso. Nonostante le promesse, lo stock complessivo del debito è cioè rimasto invariato nel suo livello, ovvero è pari a settantatre miliardi circa di euro. Chi ne risponde? Chi ne è responsabile? L’intero servizio e impiego pubblico non funziona. E non può funzionare. Perché nell’intero settore pubblico non esiste un meccanismo di responsabilità.

In teoria, il sistema pubblico italiano è tale per cui tutti sarebbero tenuti ad esserne responsabili, ma, in realtà, nella pratica e nella effettività vera delle cose, nessuno è responsabile di alcunché. Si prenda il caso dell’impiego pubblico da giudice, questi se sbaglia non paga, se lavora non si sa, quanto lavora lo si sa perché è poco, dato che c’è un arretrato mostruoso nella giustizia italiana. Chi ne risponde? Chi ne è responsabile? Si prenda il caso del dipendente dell’amministrazione pubblica, di cosa è responsabile se a fine mese gli è garantito e arriva comunque, qualsiasi cosa faccia, lo stipendio pubblico?

Si prenda ancora il dipendente statale, ad esempio delle poste italiane. Ma cosa volete che gli importi che le poste siano efficienti? Si prenda ancora il politico stipendiato da noi, dagli italiani. Che cosa lo farebbe essere minimamente responsabile? La circostanza minima di non venire eletto all’ elezione successiva (ovviamente sempre che Napolitano lo consenta, cosa che arbitrariamente impedisce di fare), il rispetto a suo buon cuore del mandato ricevuto dall’elettore, dai cittadini. Tolto questo nodo essenziale, nessun politico è responsabile minimamente di niente. Destinatario di soldi pubblici in quantità, può fare, comportarsi, e sostenere ciò che vuole, a ruota libera. Non ha alcun tipo di responsabilità cui tenere, nessuna sanzione cui dovere avere timore o rispondere.

In questo senso sia la riforma del Senato della Repubblica, sia quella delle Province, sono e stanno andando nel verso sbagliato, cioè dell’ulteriore deresponsabilizzazione. Sono infatti totali bluff che annullano quella pur minima possibilità di controllo, e di responsabilità, da parte dei cittadini italiani. Entrambe infatti eliminano l’elezione e l’espressione del consenso al mandato da parte del cittadino italiano. Nonostante le tante promesse, il Senato voluto dal governo Renzi prevede che i cittadini italiani non votino i senatori e le province, che l’attuale governo ha tanto sbandierato di avere cancellato, sono non solo operative ma tra solo un mese verranno votate unicamente da sindaci e consiglieri comunali, non più dai cittadini italiani.

Il sistema pubblico italiano è costruito interamente in maniera tale per cui il cittadino rimane gabbato e in trepidante attesa che il dipendente o lavoratore pubblico mostri, ove gli piaccia e voglia, una qualche correttezza umana, personale, o anche professionale. E’ un sistema sbagliato alle sue stesse fondamenta. Le regole del consesso civile devono piuttosto “incastrare” l’impiegato, o dipendente, o incaricato o prestatore pubblico che sia, a lavorare; indurlo necessariamente all’adempimento del mestiere cui è chiamato o che è stato eletto a svolgere.

I fruitori dei servizi pubblici, cioè noi, gli italiani, devono potere contare su un sistema collettivo condiviso in base a cui non si resti in balìa della buona natura o meno del funzionario pubblico, tantomeno in balìa della sua buona o cattiva volontà, o buona educazione o altro. Il servizio pubblico deve essere efficiente e funzionare indipendentemente dal coinvolgimento del funzionario addetto. Il servizio deve funzionare e basta. E’ come un prodotto che deve essere dato perché pagato. Se non è dato correttamente, se ne risponde perché si fa un danno alla collettività.

E l’amministrazione della cosa pubblica è servizio pubblico per eccellenza. La deresponsabilizzazione di un lavoratore nel pubblico impiego, dal livello più basso al più elevato, dalla funzione più elementare a quella più complessa, è invece, nel sistema italiano attuale, la regola. In Italia, negli ultimi quarant’anni, si è posta in essere un’operazione corposa di addossamento e “accollo” nel e al pubblico. Si è addossato a carico dello Stato, in pratica, circa l’ottantacinque per cento della popolazione italiana, e siccome i conti non solo oggi non tornano, ma non sono neanche mai stati chiari e meno che mai condotti a trasparenza alcuna, si è verificato il cortocircuito che è sotto gli occhi di tutti, cioè l’avvitamento su se stessi, la crisi dello Stato italiano, oggi deflagrata dopo anni di aumento del debito pubblico.

E’ davvero tragico stare a sentire, e solo adesso, che corte dei conti, ragioneria dello Stato, ministero del tesoro o dello sviluppo, enti e istituzioni preposti ai conti pubblici, alla loro disposizione, loro elargizione e controllo, non dispongono in toto dei dati relativi, reali ed effettivi, dello Stato italiano che amministrano. Bisognerebbe chiedersi cosa abbiano fatto sino ad oggi, cosa stiano tuttora facendo di preciso nei propri uffici pubblici, e anche come giustifichino gli stipendi loro corrisposti, non disponendo dei fondamentali su cui avrebbero dovuto “lavorare”. Oggi esiste la necessità necessitata, di riportare a responsabilità e trasparente chiarezza il lavoro dell’intera Repubblica. Un inizio sarebbe la pubblicazione, la messa a disposizione di tutti, dei conti del tentato risanamento dei conti di Cottarelli o dei due precedenti incaricati della famosa spending review. Ciò consentirebbe agli italiani di fare i conti della serva e vedere chiaramente la situazione economica fallimentare il Paese è.

Tutto ciò per dire che si deve operare nel senso, d’ora in avanti, di ricondurre a profitto ogni attività pubblica italiana, cioè ciascuna di esse, da sola, deve potere giustificare la propria esistenza, divenendo strumento di profitto economico. Un’istituzione pubblica, ove non sia in grado di “rendere” economicamente, e serva unicamente a chi ne riceve a fine mese lo stipendio statale, dovrà essere eliminata, o da fare convergere progressivamente quanto inesorabilmente in attività utile e produttiva. Ove sia economicamente utile, sopravviverà perché necessaria al servizio che eroga, beneficiandone e traendone vantaggio il Paese.

La prova dell’utilità si fa confrontando la capacità o meno dell’istituzione, organismo o ente pubblico, a esistere economicamente autonomamente. Si tratta, in sostanza, di riportare a utilità reale, e dunque responsabile, ogni attività dello Stato italiano. Quando un servizio pubblico non funziona, crea intollerabili quanto ingiustificate situazioni di privilegio snaturando il mercato, perché per esso pagherà finchè può “Pantalone”, cioè lo Stato (e questo potrà pagare sempre meno ). Ove il servizio pubblico funzioni, saranno per primi i cittadini a volere pagare le tasse necessarie per l’ottenimento del servizio medesimo, perché utile. E anche gli stipendi pubblici saranno ricondotti a misura consona per il mercato. Le tasse stesse devono essere commisurate ai servizi pubblici erogati, quelli essenziali (ospedali, scuole primarie, polizia) risultati dalla drastica loro diminuzione e decisa contrazione.

Tale processo è destinato ad essere facilitato, e con molta probabilità preceduto, dalla necessaria costituzione dell’Europa unita politica. Un Parlamento dell’eurozona con un unico ministro delle finanze e un unico bilancio. Il vulnus dell’eurozona è infatti politico. L’Italia e gli Stati membri devono necessariamente avere un Parlamento che possa decidere in autonomia rispetto alle istituzioni dei ventotto Paesi dell’Unione, non potendosi avere moneta unica senza politica di bilancio comune. Il debito pubblico di ciascun o Stato membro oggi non è più elevato di quello del Regno Unito, o degli Stati Uniti o del Giappone, ma solo in Europa questa circostanza si è trasformata nella totale crisi di sfiducia cui assistiamo, in uno dei tanti fattori che accompagnano la stagnazione dell’economia.

I governi dei Paesi membri sono alla miseria perché, per ridurre il debito con avanzi primari sul bilancio statale, come si tenta tuttora sbagliando, ci vogliono decenni e, rimborsando il debito, non si riesce ad investire. E’ necessario cioè che si lanci il progetto dell’unione politica europea. Si può prevedere un Parlamento dell’eurozona, inizialmente anche con un minor numero di Paesi rispetto agli attuali diciotto (ad esempio, un gruppo pilota cui partecipino l’Italia, la Francia, la Germania, il Belgio, l’Olanda e la Spagna), con un bilancio comune, un unico ministro delle finanze, un livello di deficit votato di anno in anno in base alla congiuntura. La moneta unica, l’euro, non potrà mai funzionare con diciotto sistemi economici e sociali, diciotto debiti pubblici e diciotto tassi di interessi su cui i mercati possono speculare.

Bisogna dimostrare che l’integrazione delle politiche di bilancio degli Stati membri è possibile. Non è normale oggi che, nell’eurozona, per Paesi membri che fanno parte della medesima unione monetaria, i tassi di interesse sui titoli di Stato vadano dallo zero al quattro per cento, mentre i mercati stessi continuino in tal modo a mettere nel conto che qualche Paese possa fare default o uscire dall’euro. L’unione monetaria senza un ’unione fiscale e politica è la situazione peggiore che si possa esistere. La speculazione sulle monete è stata sostituita da quella sui tassi d’interesse e oggi i governi degli Stati membri non hanno più l’arma della svalutazione.

Il sistema istituzionale è inoltre bloccato dalla regola dell’unanimità, essendo invece noto che, in un sistema parlamentare, le decisioni verrebbero prese attraverso coalizioni e dettate da molteplici compromessi. Bisogna dunque fare funzionare la democrazia. Con fiducia. I cittadini europei sapranno scegliere, consapevoli del fatto che, con il Parlamento dell’eurozona, i deficit potranno essere adattati alle congiunture e che, solo con un fondo comune di redenzione dei debiti pubblici in capo alla Banca centrale europea, e in grado di emettere gli eurounionbond ad un unico tasso di interesse, il sistema europeo dell’Europa unita potrà trovare la stabilità necessaria cui tutti aneliamo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18