Perché aderiamo alla Leopolda Blu

Essere di centrodestra è qualcosa di più che stare al governo o stare all’opposizione. Ed è anche qualcosa di più di un’opposizione responsabile o di un’opposizione muscolare. Sono, questi, assetti determinanti dal contingente e spesso dal respiro corto di una politica che, a forza di ignorare il futuro, si è giocata anche il presente. Lo diciamo in premessa: non ci interessano. E non è sul rapporto con Renzi che vogliamo misurare la cittadinanza di idee e proposte al perimetro dei liberali e dei conservatori.

Ci spinge a scrivere, a partecipare, a “fare politica” nel senso alto e nobile della locuzione, la determinazione a creare, anche in Italia dove mai è esistito, un partito e una coalizione sul modello del Partito Repubblicano statunitense o di quello Conservatore britannico. Sappiamo che la via è stretta e da tempo andiamo predicando che l’unica soluzione si chiama fusionismo: quell’alleanza tra liberali (classici) e conservatori teorizzata da Frank Meyer e realizzata da Ronald Reagan negli Stati Uniti. È qualcosa di ben diverso dalle alchimie elettorali e dalle ammucchiate per tentare di vincere a cui siamo abituati. Non è una tattica, è una strategia: e come tutte le cose di lungo periodo richiede tempo, pazienza, volontà.

In questi anni ci hanno abituato e costretto ad occuparci di cose piccole: le poltrone, la visibilità, lo zero virgola dei sondaggi. Vorremmo invece occuparci di cose grandi, di pensieri forti, di idee coraggiose. La manifestazione di Milano nasce con questi presupposti e per questo abbiamo deciso di aderire convintamente e di unirci a quel manipolo di promotori che non ci ha chiesto carte d’identità, dna purissimi, carriere immacolate o amicizie importanti. Abbiamo deciso di esserci essenzialmente perché crediamo che un centrodestra atlantico ed occidentale serva a questo paese tanto quanto la riforma del lavoro o quella del fisco. E sicuramente di più della riforma del Senato o di quella elettorale. Anche perché senza un centrodestra vero e forte si potrà fare una zoppicante riforma del bicameralismo o licenziare in fretta e furia un “porcellinum” elettorale. Ma non si potrà cambiare il paese. Non come piace a noi: con uno stato più piccolo e più efficiente e con persone più libere e più responsabili.

Pensiamo che sentimenti come questi esistano diffusamente nella società e che la politica e i partiti tradizionali della nostra area non riescano appieno a rappresentarli: ognuno ha le sue ragioni, ognuno ha i suoi torti. Nessuno, però, è riuscito a produrre una sintesi efficace e capace di trasformare alcune visioni largamente maggioritarie nel paese in azioni di governo.

Ci vediamo a Milano: per unire quel che i palazzi hanno diviso e per provare a svegliare un’area politica e culturale che, a guardare i sondaggi, sembra agonizzante ma che invece continua ad esistere ed è più vitale che mai tra tutti quelli che non si sono arresi e che vogliono tornare a vincere ancora.

Tratto da http://notapolitica.it/

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17