Il Quirinale eletto   e... digitale

Gli svizzeri all’estero sono poco più di 700mila, un cantone aggiuntivo, grande come il terzo del Paese. Poca cosa rispetto ai 4,5 milioni degli italiani espatriati, che crescono a una media di 100mila l’anno. Ancora più piccola se si pensa che molti di questi svizzeri fuori sede non hanno nulla a che fare con i cantoni, ma hanno preso la relativa cittadinanza invogliati dalle condizioni di vita, ben influenzate da ragioni fiscali e finanziarie come nel caso di De Benedetti.

La Svizzera, sempiterna noce bancaria e finanziaria internazionale, vale e conta; e valgono i suoi passaporti, come la sua indipendenza e la volontà dei suoi cittadini. Sarà forse il carattere introverso e diffidente verso le compagnie con cui socializzare, a permettere agli svizzeri una sorta di immunità nei confronti del pensiero politicamente corretto misto a grande diffidenza nei confronti dell’Occidente oltreoceano. L’efficienza e la ricchezza sono ottimi sostituti di simpatia e correttezza politica.

Pochi Paesi come la Svizzera sono tanto connessi con il network mondiale, quanto isolati quando si tratta di autogoverno. La democrazia ha bisogno di un po’ di isolamento per poter decidere all’ombra della propria indipendenza. E la Svizzera da anni, malgrado i numerosi livelli di Governo cantonali e federali, ha scelto la democrazia diretta, di cui gli ultimi temi sono stati immigrazione e redditi dei manager.

La scelta dei referendum è, in campo normativo, una scelta drastica, semplificatrice, che toglie spazio e tempo a molti soggetti dell’intermediazione politica. Non c’è stato bisogno tra Ginevra e Zurigo di aspettare l’evoluzione tecnologica per l’opzione referendaria come per il voto per corrispondenza, che appunto già oggi permette agli svizzeri all’estero di votare.

Nelle elezioni federali 2011, gli svizzeri espatriati di 8 cantoni su 26 avevano votato per via elettronica; dall’ottobre 2015 aumenteranno fino a 14 cantoni, tra cui Zurigo. Il voto elettronico diverrà lo standard maggioritario e poi lo diventerà anche per i referendum propositivi. Non ci sono preoccupazioni che tengano, a partire dalla solita evocazione per i timori sulla sicurezza.

L’Italia sa bene che anche in mancanza di digitale, non si è fatta mai mancare brogli, mala gestione delle schede nulle, pasticci sul voto per corrispondenza e peggio nel voto degli italiani non cittadini all’estero, nei seggi di Castelnuovo. Il voto ha sempre i suoi problemi organizzativi e ugualmente li ha anche quello elettronico. Esistono problemi di anonimato, risolvibili con le chiavi cifrate, esistenti da anni, da usare una volta e basta. Ci sono problemi di intrusione risolvibili con procedure che per una parte del processo, prevedano reti chiuse non connesse a Internet, e via dicendo. Gli svizzeri, già pensando a un referendum sull’accordo di libero scambio con gli Usa, temono che tecnologie americane influenzino il voto.

Problemi troppo grandi per l’Italia, già stesa da centinaia di migliaia di intercettazioni spie anche dei pensieri più reconditi. Il voto elettronico costituisce il nocciolo della democrazia elettronica; non la consultazione on line, non il sondaggio ma proprio il voto elettronico. Questo, per l’ampiezza delle persone coinvolte, per la semplificazione organizzativa, per la tempestività di procedure e risultati, è il sistema elettorale attuale. La politica italiana ne sembra lontana anni luce. Voleva dare un segnale contro la deriva di risse, di opposizioni, di veti che intasano le aule giudiziarie amministrative di questioni politiche ma ha finito per penalizzare l’istituto referendario già solo a carattere abrogativo. Voleva creare partecipazione tra candidati e elettori e ha importato il sistema delle primarie, che serve negli Usa proprio come placebo per la permanente assenza di partecipazione.

Ha confuso la ridda di commenti, post, email, hashtag su Internet come l’espressione di voto elettronico, riducendo la democrazia diretta, nel caso della scelta dei candidati e dei programmi, a un flop di qualche decina di migliaia di persone sul potenziale delle decine di milioni. In una certa quota la politica italiana non ha capito; per altra parte ha menato “il can per l’aia” pur di evitare finora il voto elettronico, evocatore ai suoi occhi di democrazia diretta. I sistemi di democrazia diretta non si identificano nel voto elettronico, né l’E-government con la democrazia diretta digitale.

Poi la scelta diretta normativa è considerata, nell’ambiente degli addetti, troppo complessa per essere affidata ad un click. Una riforma complessa o un Testo unico – si sostiene – non dovrebbe essere oggetto di scelte dirette. Né lo potrebbero essere guerre, tasse, discriminazioni. In realtà voto elettronico e democrazia diretta si attraggono come magneti.

In tempi in cui carta, pellicola, foto, dati di magazzino si fanno digitali, è immediata la comprensione che anche gli strumenti per esprimere pareri, decisioni, voti sono digitali e, in quanto tali, pervasivi e immediati. Ci sono molti temi sui quali l’opinione compatta del vertice del Paese, da destra a sinistra, diverge da quella di un’ipotetica maggioranza dei cittadini.

Devono esistere quattro tipi di imprese con condizioni strutturali fiscali diverse? L’articolo 18 deve essere salvaguardato? Gli immigrati richiedenti asilo devono essere curati e alloggiati temporaneamente su navi ospedale in acque internazionali? Enti locali e grandi città devono avere uffici di rappresentanza presso la Capitale e all’estero? E via dicendo.

Il voto elettronico, al contrario di quanto si dica, non offre né più partecipazione, né più “democrazia”; semmai annulla i regolamenti attuativi e le interpretazioni. Anche fosse come un “mi piace” dei social, non potrebbe perdere in serietà, almeno dopo il 25 per cento dei voti per Grillo e l’elezione di Cicciolina.

Avvicinandosi il momento dell’elezione per il Quirinale, dovrebbe essere chiaro ai fautori dell’elezione diretta del capo dello Stato che questa, se mai arriverà, si esprimerà con il voto elettronico. Uno di quei casi in cui solo la tecnologia e lo spirito del tempo possono spingere l’Italia verso un metodo indipendente, rispettoso del cittadino, che la Svizzera conosce dai tempi di carta e freccia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:04