
La fretta di Renzi è tutta legata alla sua necessità di portare il Paese al voto nella prossima primavera. Il premier, infatti, sa bene che le cose andranno molto diversamente da come le ha promesse e sa altrettanto bene che la gente e l’opinione pubblica, sempre di più, capiranno illusioni e favole.
Come se non bastasse, il presidente del Consiglio conosce la volontà di Napolitano di anticipare la fine del suo mandato e, in questo senso, non è da escludere che l’annuncio possa avvenire con il messaggio di fine anno, che coinciderebbe con la fine del semestre europeo a guida italiana. Dunque, per Renzi la parola d’ordine è correre, portare a casa qualche riforma pur rabberciata, evitando che il tempo demolisca il consenso artificiale ottenuto alle elezioni europee.
Il favoloso 41 per cento comincia a essere eroso passo dopo passo, con il concretizzarsi del fallimento delle promesse: il Paese va peggio, le tasse aumentano e il debito pure. In questo quadro e avendo contro l’unica opposizione dei dissidenti del suo partito, il premier non può rischiare a lungo, visto che ha deciso di giocarsi la faccia.
Del resto, ottenuto il via libera da Berlusconi, con una maggioranza di Governo totalmente appiattita su lui, con Grillo in piena confusione e il resto del Parlamento sparpagliato e sfilacciato, Renzi sa di avere buon gioco per fare qualche piccola riforma. Questo gli consentirebbe di dare spunto a Napolitano per ritenere concluso il mandato, oltreché di fare i soliti annunci di grandi risultati ottenuti.
Insomma, tutto studiato e analizzato per arrivare alle politiche il prossimo anno, con un presidente della Repubblica nuovo, che come primo atto scioglierebbe le Camere, con un parametro riformato seppure in peggio, con un consenso ancora sufficiente.
Ma, in questo esercizio di tecnica politica, esistono delle pericolose variabili. Innanzitutto l’atteggiamento dell’Europa, poi il precipitare dei conti, che aprirebbe la strada a una manovra correttiva tassativamente esclusa con spavalderia, dallo stesso Renzi. Una posizione negativa della Ue nel semestre italiano e un nuovo intervento sui conti, sbugiarderebbero inequivocabilmente la baldanza del giovane Matteo, mettendolo in crisi con gli italiani e con i dissidenti del suo partito. Il risultato sarebbe di andare alle elezioni, ma con la grande paura di sbatterci contro, a favore del centrodestra o di una coalizione che lo escluderebbe.
In buona sostanza, il premier pensa al suo futuro, piuttosto che a quello del Paese ed è la ragione per la quale i provvedimenti presi sono stati utili a consentirgli annunci e niente più. Più tasse, meno lavoro, più debito, meno crescita, più disagio meno iniziative e siamo entrati nella seconda metà del 2014.
L’ossessione della gente verso il fisco e le sue persecuzioni aumentano, la mancanza di credito al consumo persiste, la domanda interna si contrae ulteriormente e gli interessi, prima o poi, saliranno. Il rapporto tra gente e istituzioni, Agenzia delle entrate e contribuenti, imprese e sistema, peggiora progressivamente.
Questo è il quadro e il tempo per rimediare è sempre meno. Così c’è da augurarsi che nel calcolo del premier esistano queste realtà, perché se non ci fossero, resterebbe la strada di una pericolosa e definitiva deriva, per le famiglie, le aziende e per il Paese.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06