
Non cambierà molto e non è un gran successo per nessuno. La flessibilità annunciata sui parametri Ue è più o meno la stessa applicata fin qua con qualche piccolo ritocco. In particolare per l’Italia si tratta di cose già sostanzialmente concesse, in merito allo slittamento del pareggio ed alcuni costi aggiuntivi per le riforme strutturali.
Nell’architettura germanocentrica del patto e nel funzionamento della Banca centrale europea nulla di nuovo sotto il sole. Restano per noi, in prospettiva, vincoli e obblighi che ci costringeranno a sacrifici impossibili visti i numeri. Riportare il rapporto debito/Pil (che oggi viaggia tra il 130 e il 140 per cento) almeno abbondantemente sotto il 100 per cento significa reperire svariate centinaia di miliardi di euro. Se anche il nostro Pil si mettesse per miracolo a crescere del 3 per cento l’anno, ci vorrebbero 15/20 anni di salita ininterrotta a tali livelli. Impensabile. Altrettanto sul fronte della spesa, sia in termini di risparmio che di durata, impensabile! Volendo pure immaginare una contemporaneità fra le due voci, diciamo risparmi di circa 1 punto di Pil ed una crescita di 2 punti annuali, servirebbero sempre 15/20 anni di virtuosismi ininterrotti, impensabile! Significherebbe trascurare completamente la realtà dei cicli economici, gli imprevisti, le condizioni per crescita e consumo, che da noi non esistono e, restando così le cose, non esisteranno.
Per abbattere il debito e gli oneri al suo servizio, in un quadro come il nostro, servirebbero decisioni eccezionali, accompagnate da interventi fiscali di stimolo e fiducia, anni luce lontani dall’insulsaggine del 730 precompilato. Servirebbe una gigantesca e veloce messa sul mercato (anche a prezzi mortificati) dell’immenso patrimonio pubblico, utilizzando per questo il meglio del sistema bancario nazionale e internazionale, per scontare con immediatezza i valori stimati. Servirebbe un piano di privatizzazioni altrettanto poderoso, che preveda il rapido passaggio al mercato di tutte le aziende locali inutili e dannose, che sono la stragrande maggioranza. Servirebbe un piano speciale di occupazione alternativa dell’enormità degli esuberi pubblici, derivanti dalle dismissioni anche a costo di oneri sociali imprevisti e conseguenti. Servirebbero, infine, non riforme ma vere e proprie rivoluzioni dell’assetto burocratico e istituzionali del Paese.
L’Italia oggi ha raggiunto un livello tale di insostenibilità del debito e del sistema Paese (prima o poi i tassi saliranno) che le riforme non bastano. Bisognerebbe andare oltre per arrivare ad una vera e propria rivoluzione (in senso nobile) del concetto di pubblico, di fisco, di istituzioni e di sviluppo del mercato del lavoro. Solo così se ne potrà uscire per guardare al futuro, crescere e distribuire ricchezza. Altrimenti andremo a sbattere. Non saremo i soli, ma certamente fra i primi. Tanta parte d’Europa, infatti, non sta molto meglio di noi sia per l’euro sia per i suoi trattati; gli spazi di sopravvivenza si riducono sempre più e più rapidamente, in mancanza di realismo, sincerità e provvedimenti. Insomma, è iniziato l’ultimo tratto del cammino, quello più difficile ed impegnativo, che richiede coraggio e volontà come non mai nella nostra storia, pena l’esplosione dell’euro e dei conti dello Stato. Matteo Renzi e la sua corte non ci sembrano all’altezza del momento e le mosse fin qui attuate lo confermano in pieno.
Noi vogliamo però essere ottimisti e dunque insistiamo nei consigli, insieme a tanti altri, più autorevoli e conosciuti. Ci ascolti e li ascolti subito, il Premier, mille giorni sono un’eternità. Rapidità, umiltà e buon senso, sarebbero già un buon indicatore di speranza per l’Italia e gli italiani.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:08