
Lo scorso 21 febbraio, in occasione del giuramento dell’Esecutivo Renzi, Dario Franceschini fuori al Quirinale aveva affermato “la cultura è il più importante ministero economico del nostro Paese”. A quattro mesi di distanza, in occasione della terza edizione degli stati generali della Cultura, kermesse annuale promossa dalla testata Confindustriale, il ministro ha ribadito con grande sicurezza la stessa affermazione di qualche mese fa.
In un accalorato intervento, il capo del dicastero dei Beni culturali ha sostenuto che investire nella cultura sia innanzitutto una scelta economica e che sia necessario ed urgente invertire il trend di tagli e spending review che negli ultimi anni hanno ridotto il settore allo stremo delle forze. La globalizzazione, ha proseguito, non va intesa come un elemento di negatività, anzi offre nuove chance sul mercato internazionale ed impone ad ogni Paese di individuare la propria vocazione e puntare su quella. L’Italia va da sé – e lo conferma il numero crescente di turisti che ogni anno sbarca nelle grandi città e nei piccoli borghi dello Stivale – è vincente quanto a bellezza, patrimonio artistico e paesaggistico e creatività. La battaglia per la cultura va portata avanti a livello di Governo e di Parlamento tutto. “Possiamo litigare su tutto il resto, tra maggioranza e opposizione, ma la cultura deve trovarci uniti perché costituisce il perno centrale per la rinascita del Paese”.
Rispondendo a quanti, intervenuti prima di lui, pur riconoscendo il suo impegno e l’importante provvedimento recentemente approvato, ne hanno evidenziato le pecche, Franceschini ha voluto rispondere che si è trattato di misure urgenti e non di interventi strutturali. L’“Art bonus” è quindi solo il primo passo. Un passo comunque importante, che ha introdotto dopo anni di attesa importanti agevolazioni fiscali per quanti intendono investire in cultura (lo sgravio fiscale è del 65%, recuperabile in tre anni e senza un tetto massimo di spesa). “Ora non ci sono più alibi per i privati”, ha proseguito Franceschini con piglio deciso.
È inoltre necessario che al concetto di tutela venga affiancato quello di valorizzazione, che passa anche attraverso una gestione manageriale della cultura, dei poli museali e dei siti archeologici. Il provvedimento appena approvato è promotore di una grande rivoluzione nel trasferimento degli stanziamenti ai musei, che verranno decisi in base ai biglietti venduti e al ricavato dall’affitto delle sale ed altre iniziative promosse, cercando di innescare un meccanismo di incentivo in una gestione più efficiente.
Dal 1 luglio, ha inoltre annunciato l’introduzione di una radicale revisione del piano tariffario dei musei. Ad oggi entra gratis nelle strutture circa il 30 per cento dei visitatori. A partire dal mese prossimo i biglietti omaggio saranno destinati solo agli under 18, il ridotto fino ai 25 anni ed un biglietto a pagamento equo a tutti gli altri, con la prima domenica di ogni mese ad ingresso libero. Inoltre la sera del venerdì l’orario di visita verrà prolungato fino alle 22, come accade già in molte capitali europee.
Piccoli passi, ma che sembrano presagire una direzione diversa dal passato. “Abbiamo un enorme tesoro. Camminiamo su un terreno di pepite d’oro senza neppure accorgercene. Adesso servono nuovi investimenti per la cultura, per dare nuova linfa vitale al Paese”, ha aggiunto in chiusura.
Dopo un susseguirsi di governi che hanno considerato il dicastero dei Beni culturali soltanto una sorta di “parcheggio per amici”, il piglio, le parole, ma soprattutto i primi risultati del neo ministro fanno davvero sperare in una concreta inversione di rotta. Non resta che augurarci ed augurargli “ad maiora!”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:03