Magistrati: il principio dell’impunità

Separata con un bambino di 6 anni, vittima designata dell’ex marito, stalker violento e iracondo: percosse, maltrattamenti, tentativo di soffocamento, sputi in faccia, aggressioni palesi ed occulte, sempre davanti al figlio.

Un dipendente della Rai, dove ha organizzato un proprio ufficio personale (telefono, fax, cancelleria, assenze ingiustificate coperte dai colleghi). Dalla separazione, omologata dal Tribunale il 7 aprile 2011 (quella di fatto risale ad un anno prima) conduce un’ulteriore azione delinquenziale contro il figlio e la madre del minore da fine pena mai. Il bambino, come la madre, è affetto da celiachia e/o intolleranza al glutine. In ogni caso anche il semplice sospetto dovrebbe invitare ad una alimentazione priva di questa sostanza. Il padre, al contrario, somministra a suo figlio tutti cibi contenenti il glutine, adducendo che si tratti di una pura invenzione della madre affetta dalla sindrome di Münchhausen (il caso più tipico di detta sindrome è quella della madre che usa la malattia di un figlio per attirare l’attenzione su di sé), accertata con una telefonata da un pediatra, dottor Pedicino, poi sanzionato dall’Ordine dei medici e dalla sindrome di alienazione parentale detta Pas (dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome), come suggerisce il difensore del padre del bambino.

Ed a giustificazione delle sue plurime condotte criminali - risulta indagato per lesioni, maltrattamenti, violazione degli obblighi di assistenza familiare, ingiuria, diffamazione, minaccia, atti persecutori, frode processuale, peculato, firma falsa - adduce che, a causa della ipocondria proiettiva della madre sul figlio (l’invenzione della celiachia clinicamente ingiustificabile), gli viene impedito di frequentare il figlio. Nel luglio del 2012 il servizio di patologia clinica dell’ospedale San Pietro – Fatebenefratelli di Roma (ritenuto dal padre del minore, con la vocazione del medico, impossibile) ha evidenziato, a seguito di accertamenti diagnostici, la presenza di anticorpi Anti-gliadina Deamidata: esito 17 ru/ml (0,1 – 10), confermata dal certificato di accompagnamento del primario del reparto, marcatore compatibile con il morbo celiaco.

Sono seguiti ben cinque certificati dei maggiori esperti italiani della affezione celiaca che hanno confermato la celiaca del bambino e comunque l’intolleranza al glutine, con prescrizione di alimentazione priva di glutine. Tutti i cinque medici sono stati denunciati all’Ordine dei medici da padre del bambino. Proprio in considerazione di questa prova decisiva è stato proposto davanti al Tribunale di Tivoli un ricorso per provvedimento di urgenza. Fissata l’udienza di comparizione il 27 agosto 2012, con ordinanza, emessa in data 5 novembre, il giudice Anna Maria Di Giulio dichiara inammissibile il ricorso per carenza di legittimazione ad agire della madre del bambino; la madre non può rappresentare il figlio, con condanna alla spese processuali di 3mila euro. Viene proposto appello (reclamo). In data 22 marzo 2013 il Collegio, composto dai giudici Francesca Coccoli, Fernando Scolaro e Alessio Liberati (relatore), emette l’ordinanza, nella quale dichiara l’errore del giudice prime cure, (la dottoressa Anna Maria Di Giulio): “Ritiene il Tribunale che il giudice del cautelare abbia errato, atteso che l’esperimento dell’azione giudiziaria nell’interesse del figlio è ben desumibile dal complessivo tenore dell’atto”.

La madre può rappresentare il figlio (!), ma i giudici si dimenticano conseguentemente di annullare la condanna alla spese processuali per 3mila euro; anzi, considerato che “la copiosa documentazione fornita da parte reclamante (la madre del minore) non ha fornito prova certa della esistenza di una intolleranza al glutine, ma solo un possibile sospetto, non seguito da quella certezza richiesta per giustificare un regime alimentare alternativo, condannano la povera madre ad ulteriore 2.500 euro di spese processuali (la prova certa in medicina non esiste ed in ogni caso vale al contrario: non è certo che il bambino non abbia la celiachia).

Successivamente la madre debitrice è stata raggiunta da un atto di precetto (intimazione a pagare) e in data 9 luglio 2013 le è stato notificato atto di pignoramento presso terzi per la complessiva somma di 8.227,39, con blocco del conto corrente bancario e decurtazione mensile sullo stipendio. Sul conto corrente pignorato l’ex marito inizia a versare l’assegno di mantenimento per il figlio, in modo da impedire l’incasso da parte della madre del minore. Anche la procedura esecutiva ha un suo costo; si conquista la vetta dei 10mila euro. Chi paga per gli errori dei giudici? Babbo Natale! Cosa dicono i vertici della Magistratura che si sentono delegittimati da facinorosi? Il solito alibi per coprire le malefatte di magistrati, incapaci, negligenti, superficiali, con l’eroismo di quelli che combattono il crimine organizzato, che arrestano i corrotti e i corruttori di regime, che tutti i giorni compiono il proprio dovere di autorevoli servitori dello Stato.

Perché l’Associazione nazionale magistrati (Anm) vuole copiare i comportamenti deplorevoli di alcuni sindacati che difendono fannulloni, assenteisti, lavoratori improduttivi dannosi per l’azienda che assicura un lavoro? Uno Stato che consente ad una categoria di rimanere impunita non è uno Stato che agisce affinché si possa realizzare il principio della legge uguale per tutti. In ogni caso, il magistrato che si rende colpevole di aver lavorato male ed aver procurato dei danni per dolo e colpa grave non dovrebbe temere alcuna vendetta né un trattamento particolarmente severo, in quanto verrà giudicato dagli stessi magistrati, come avviene per il magistrato che commette un reato. Ha tuonato il vicepresidente del Csm, Michele Vietti (politico, avvocato italiano ed esponente dell’Udc), contro l’emendamento presentato dalla Lega alla Camera dei deputati sulla responsabilità civile dei magistrati, lamentando che non potrebbe essere tollerata la sottomissione della Magistratura al potere legislativo o a quello esecutivo. Dico all’avvocato Vietti due cose: la prima è ovvia, il potere legislativo decide anche per i cittadini-magistrati; la seconda riveste il senso della concretezza: si accolli la somma che la torturata madre del minore deve corrispondere per la vergognosa sciatteria di quattro magistrati. Tutti in coro il Csm, l’Anm, le toghe della Corte dei Conti (quelle che dovrebbero controllare sugli sperperi e sugli sprechi della Pubblica Amministrazione) hanno cantato l’inno alla Patria: attentato all’indipendenza della giurisdizione, mentre indaga sulla corruzione. Come insegnano gli stessi magistrati, ogni questione, ogni giudizio ha un proprio oggetto, un problema. Se si mette tutto insieme la somma diventa una macedonia, che pure è gustosa.

E ancora, pensare che il conseguimento della laurea in giurisprudenza, l’esercizio della professione di avvocato, il ruolo di magistrato possa abilitare per affrontare il grande problema della riforma della Giustizia penale e civile vuol dire stare fuori strada. Dopo 66 anni dalla nascita della Repubblica sul versante della Giustizia siamo andati sempre peggio, una discesa negativa da primato. Peraltro, tra i ministri della Giustizia figurano tra i migliori i non laureati in giurisprudenza: Claudio Martelli e Piero Fassino. Dieci milioni di processi attendono di essere conclusi, ogni giorno donne e bambini sono torturati, sgozzati, violentati dall’ex marito, compagno, fidanzato. Sarà che qualcosa non funziona?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18