Responsabilità giudici: se ne occupi il Dreyfus

La legge è uguale per tutti, tranne che per i magistrati. Ormai, nella Repubblica dei paradossi, questo è un fatto acclarato oltre che meritevole delle attenzioni del Tribunale Dreyfus di Arturo Diaconale. Gli indizi si perdono nella notte dei tempi ma l’ultima pistola fumante del “killer seriale ammazza giustizia” giace ancora negli atti parlamentari dell’11 giugno 2014 ma anche nelle successive conseguenti dichiarazioni dei leader politici del Partito Democratico.

Ma vediamo i fatti: nel bel mezzo dei lavori atti a recepire una legge comunitaria in tema di giustizia, per uno strano gioco di alleanze e di astensioni, il Governo viene battuto sull’emendamento Pini che introduce la responsabilità civile per quei magistrati che per dolo o colpa grave arrechino danni ingiusti ad un cittadino.

L’emendamento passa con i voti del centrodestra, con l’astensione dei pentastellati e con il contributo di circa 35 franchi tiratori del Pd. Insieme al Governo, fatto gravissimo, ha votato invece l’Ncd di Alfano, quello che si definiva la sentinella del centrodestra al Governo, il partito diversamente berlusconiano paladino delle antiche battaglie garantiste. Tecnicamente l’emendamento, se approvato anche al Senato (ma non sarà così), andrebbe a colmare la stortura posta in essere dalla Legge Vassalli che, a valle del referendum Radicale dell’87 teso ad introdurre la responsabilità dei magistrati e votato a larga maggioranza, intese “depotenziare” (parola di Rodolfo Sabelli dell’Anm) la volontà popolare, infischiandosene del risultato delle urne e favorendo l’impunità della casta togata. Sarebbe bello capire da Sabelli cosa significhi “depotenziare” la volontà popolare, se ciò sia avvenuto anche in altri casi e perché questi la ritenga prassi accettabile, ma tant’è.

Dal punto di vista politico, si apre uno scenario strano che sa tanto di resa dei conti tra i Democratici. Come abbiamo sostenuto tante volte su queste pagine, la minoranza interna del Pd ha semplicemente abbozzato di fronte all’arrogante presa del potere di Renzi preparando nel contempo le condizioni giuste per presentargli il conto. Ma al momento giusto.

Quella dei dissidenti sulle riforme (capeggiati da Corradino Mineo), unitamente alle avvisaglie provenienti dalla Camera sull’emendamento Pini, sembra essere il casus belli capace di trasformare il Senato nella “baia dei porci” di Renzi con annessa rivincita della minoranza Pd. Potrebbe essere un segnale ma potrebbe anche essere un fuoco di paglia pronto ad essere spento al Senato dal soccorso rosso a cinque stelle, fatto sta che, in ultima istanza e quand’anche l’emendamento Pini dovesse diventare legge, esso sarebbe sicuramente cassato dalla Consulta come nelle migliori tragiche tradizioni italiane. Le dichiarazioni di Renzi, invece, aprono uno scenario inquietante sulla sua dubbia coerenza visto che, anche su questa vicenda, non ha mancato di avvalorare la sua tremenda attitudine a dire tutto ed il suo contrario come fosse una “signorina buonasera” pronta a recitare un palinsensto con il sorriso piantato sulle labbra.

“È una tempesta in un bicchier d’acqua, rimedieremo al Senato” ha affermato Renzi. Ma come si può dire una simile atrocità così a cuor leggero? Rimediare significa che siamo tutti responsabili delle nostre azioni tranne i magistrati? E’ quella la normalità? Cosa significa per il Premier il dato secondo il quale con la Legge Vassalli sono stati condannati quattro magistrati in trent’anni? Significa che la magistratura funziona perfettamente o che c’è qualche problema? Insomma, il solito Renzi di facciata che fa finta di rottamare ma intanto la linea se la fa dettare da Repubblica e dall’Anm, la solita signorina buonasera che annuncia novità ma invece è il classico film di Alberto Sordi.

Ma come, il rottamatore che annuncia di voler concedere l’immunità ai magistrati proprio un attimo dopo aver minacciato calci nel sedere per chi ruba perché chi sbaglia deve pagare. È questo il coraggio della politica 2.0? Ciliegina sulla torta: “La storia di Silvio ci dice che dobbiamo fare la riforma della giustizia: la storia di Silvio Scaglia. Scaglia affittò un volo privato per andare dai magistrati, e si fece arrestare. Da quel momento, 3 mesi di carcere e 9 mesi ai domiciliari. Dopo 12 mesi fu liberato. Poi giudicato innocente. Ma vi sembra normale che noi in questi vent’anni abbiamo parlato di giustizia dedicata ad uno solo, e che un cittadino innocente venga messo in galera?”. Queste dichiarazioni sono di Matteo Renzi. Era il 27 ottobre 2013 e l’aspirante segretario del Pd chiudeva la Leopolda all’insegna del coraggio e dell’innovazione. Come no…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11