
Sbaglia Matteo Renzi ad insistere nel volere, per decreto, 150 milioni dalla Rai (art.21 del decreto Irpef). Ha sbagliato il partito di viale Mazzini a scioperare ieri con manifestazione di piazza, telegiornali e radiogiornali in forma ridotta e programmi non andati in onda.
Ci sono molte cose che non vanno bene, in linea di principio e di diritto, in tutte e due le posizioni. La Rai è un’azienda pubblica, il cui capitale appartiene al ministero dello Sviluppo Economico, la nomina del Consiglio d'Amministrazione è decisa dalla Commissione parlamentare di vigilanza, il direttore generale e un membro del Cda sono scelti dal Tesoro.
Il risultato è una governance ibrida, confusa, soggetta alle pressioni politiche. Un’azienda ostaggio per decenni di Dc, Psi, Pci con capolavori di lottizzazione, che poi era spartizione di poltrone. Il centrosinistra è rappresentato dalla presidente Annamaria Tarantola, da Benedetta Tobagi, dall’ex pm Gherardo Colombo, da Marco Pinto. Il centrodestra ha scelto l’imprenditrice Luisa Todini (nomina anche presidente delle Poste), l’ex parlamentare del Msi-An-Pdl Guglielmo Rositani e dall’imprenditore Antonio Verro. Il partito di Casini, da sempre forte in Rai come erede della Dc, è rappresentato da Rodolfo De Laurentiis.
Il Premier e segretario del Pd Renzi vuole “rottamare” anche la Rai; o meglio, secondo lui anche l’azienda di viale Mazzini deve contribuire alla politica di “spending review” generale, passando sotto la tagliola di un taglio netto di 150 milioni di euro. Risparmiando sui costi? Per Renzi non ha importanza dove li prende: recuperando sull’evasione del canone (circa 22 milioni l’anno), licenziando una fetta del personale, vendendo quote del ramo dei tralicci di trasmissione, ridimensionando le sedi regionali?
Per il Governo l’obiettivo è incassare 150 milioni. Senza considerare che facendolo con un decreto legge significa mettere forzatamente le mani in tasca ad un’azienda già in difficoltà (i ricavi nel 2013 sono scesi a 2.748 milioni di euro dai 2.998 del 2011, il deficit che era di 244,6 milioni è stato portato a + 5,3, l’indebitamento è salito a 441 milioni di euro), che ha già varato il suo bilancio, il suo piano industriale triennale (che va rifatto), varata la programmazione invernale, decise scelte per far fronte alla concorrenza ( la Rai è vincente in prima serata facendo registrare uno share del 40%). Renzi va avanti come un carro armato. Vuole raggiungere il risultato e insiste in tutte le interviste che riesce a fare nell’affermazione che la Rai deve dare il buon esempio. Il Premier aveva detto che “lo sciopero è umiliante, facciano pure e poi confrontiamo i numeri e quanto costano le sedi regionali”.
Bene. No, male. Dopo le prime prese di posizione si è messo in moto un tentativo trasversale di salvare capra e cavoli. Il dg Gubitosi è favorevole a tagli alle sedi regionali e alla vendita di quote di Raiway. Al Tg3 c’è tensione e sarà scontro in assemblea tra favorevoli e contrari allo sciopero. L’Usigrai dopo aver preannunciato lo sciopero sta meditando un passo indietro. Bloccare il servizio pubblico radiotelevisivo con uno sciopero di tutto il personale sarebbe solo un errore per il segretario della Cisl Bonanni. Renzi conta in Rai anche su un personaggio di riferimento di lunga data Luigi De Siervo, direttore commerciale, che da poco è stato eletto presidente dell’Associazione dirigenti. Manifesterà in difesa dei dirigenti Rai oppure si dissocerà dalla protesta dando ragione all’inquilino di Palazzo Chigi. Se Renzi ha intenzione di riformare la Rai dovrebbe proporre la fine del mandato del consiglio di amministrazione, erede della lottizzazione, in occasione delle prossime dimissioni della Todini, e iniziare la riorganizzazione aziendale su basi nuove in vista della scadenza nel 2016 della Convenzione Stato-Rai.
Qui sta però il secondo errore del partito Rai. I sindacati della tv pubblica protestano ma l’ultima volta che qualcuno si oppose alla vendita di Raiway, la società che gestisce le torri di trasmissione, il cui valore è stimato intorno ai 600 milioni, fu l’ex ministro Maurizio Gasparri che bloccò l’operazione portata avanti dal presidente Rai Roberto Zaccaria, ora deputato Pd. In questo senso il centrodestra è a favore dello sciopero.
Le rendite di posizione conquistate dal sindacato dei giornalisti, fin dai tempi di Beppe Giulietti e Roberto Natale, non hanno mai permesso di fare un discorso serio, approfondito e di prospettiva sulla struttura dell’azienda del servizio pubblico, sulla separazione dei conti con i programmi d’intrattenimento pagati dalla pubblicità. Tutti hanno coltivato l’orticello, sono tutti diventati generali (basta vedere su Internet gli organigrammi), gli appalti esterni si sono moltiplicati nonostante la presenza di 13mila dipendenti. Le colpe dell’Usigrai e dell’Adrai riguardano anche l’eccessiva parcellizzazione delle direzioni, la moltiplicazione dei telegiornali e giornali radio generalisti. C’è poi il problema delle sedi regionali. In Francia, Germania e Spagna lo hanno risolto facendo un’azienda autonoma, con il contributo delle Regioni/Lander.
“E’ il momento di rivoluzionare la Rai” dice anche Beppe Giulietti, ex parlamentare Pd e portavoce di Articolo 21. Come? Si potrebbe iniziare dalla revisione degli appalti e consulenze esterne, dai contratti di collaborazione superpagati, a far lavorare tutti i dipendenti, a ridurre programmi che non hanno alcun senso in un servizio pubblico, a migliorare il sito Internet che si sovrappone a Rainews e Televideo.
Facendo decadere il Cda si potrebbe iniziare subito a gettare le basi per una nuova Rai non più lottizzata magari gestita da un Cda corto nominato dal Tesoro come avviene per la Bbc, in difesa del pluralismo e del servizio pubblico.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17