Livorno anarchica sceglie Cinque Stelle

Il grande limite del Partito Democratico è tutto culturale, parte dalla superficialità di Matteo Renzi e si estende al formalismo piccolo borghese del duo Boschi-Mogherini. I ragazzi mancano dei fondamentali. E l’infarinatura di storia patria è tanto confusa e bucherellata. Diversamente avrebbero evitato di considerare Livorno una roccaforte del voto prima rosso e poi democratico.

L’ingegnere aerospaziale Filippo Nogarin è stato incoronato sindaco di Livorno per il Movimento Cinque Stelle al secondo turno delle elezioni comunali, sconfiggendo Marco Ruggeri del Pd. Un risultato che si spiega scorrendo a ritroso le cronache politiche della ridente cittadina toscana. Rammentando che il livornese non ha mai accettato la disciplina di partito (ieri di Pci e Pds e oggi del Pd). Una città che ha più volte sputato disprezzo sul centralismo democratico dei vari Togliatti, Longo, Berlinguer, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani… e oggi dice a muso duro “non mi rappresenti” al signor Renzi: toscano, fanciullo e bischero con l’aggravante d’essere fiorentino. Livorno è una città di scissioni. Oggi il suo elettorato ha ravvisato in Nogarin più sangue anarchico che in Ruggeri: il livornese ha disobbedito al “partito” premiando l’antisistema grillino. Rammentiamo che nel 2011 l’assedio anarchico alla Prefettura di Livorno è stato quasi soffocato dai media e per il timore che potesse diffondersi il germe della lotta di piazza. Ma anche perché i media sono tutti filo-Pd e non intendono fare da vetrina alla Livorno disobbediente. Tanto è bastato perché la notizia venisse diffusa sottotono e il giorno dopo.

Emerge che nella pancia della vecchia Europa il sentimento anarchico (antagonista si dice oggi) non è sopito. Crisi o benessere, 111 anni dopo (numero magico per ogni fede) l’assalto del 1901, gli anarchici hanno pensato bene di festeggiare con lanci di pietre e bombe carta il loro forte legame con la storia livornese. Un segnale importante, visto e considerato che dopo il successo dell’assalto livornese vennero cantierizzati gli assalti ad altre prefetture: come quelle di Torino e Genova, solo per citare quelle più ghiotte per l’antagonismo. E parte di loro (già grillini antemarcia) si univa nel 2012 e nel dicembre 2013 agli scontri di piazza dei disoccupati torinesi e liguri, passati alla storia come “saldatura tra forconi e 9 Dicembre”.

Ovviamente, ogni volta che il sistema ha subito attacchi dai “disobbedienti” si è scatenata la fiera d’ovvietà e frasi di rito da parte della partitocrazia tutta (soprattutto del Pd): c’è chi ha detto “condanniamo fortemente il ribellismo anarcoide”. Poi qualcuno s’è spinto oltre: “Non si possono che condannare i gesti estremi di anarchici, disoccupati, precari ed emarginati”. Dichiarazioni che hanno rimesso in piedi le barricate, da una parte i diseredati e dall’altra il fantasma del generale Fiorenzo Bava Beccaris. Perché la reazione di gran parte della classe politica, come della casta che regge l’alta dirigenza di Stato, somiglia tanto a quella della cosiddetta “gente bene”. La stessa che in occasione dei tumulti milanesi del 1898 e livornesi del 1901 (le cosiddette “proteste dello stomaco”) chiedeva che i militari facessero fuoco sulla popolazione. L’allora governo, guidato da Antonio di Rudinì (un montiano ante litteram), proclamava lo stato d’assedio, e il generale Bava Beccaris (in qualità di Regio commissario straordinario) ordinava di sparare cannonate sulla folla: provocava una strage, morirono più di cento civili. In segno di riconoscimento per la brillante azione militare, Bava-Beccaris ottenne un seggio al Senato.

Gli anarchici livornesi (con alcuni di loro abbiamo parlato personalmente) spiegano che “è giunta l’ora di vendicare gli esodati arrestati per resistenza a pubblico ufficiale, i disoccupati trattati come feccia della società, i ragazzi malmenati dalla polizia...”. Parole che ci ricordano quelle dell’anarchico Gaetano Bresci che, dopo l’attentato a Umberto I (a Monza il 29 luglio 1900), dichiarava: “Ho voluto vendicare i morti del maggio 1898 e l’offesa della decorazione al criminale Bava Beccaris”. Il generale chiese “lo squartamento del regicida”.

I toni s’inaspriscono, i governi chiedono la linea dura, si torna indietro di oltre un secolo. La lotta al sistema normalizzatore, oggi incarnato dal Pd di Renzi, ricomincia da Livorno, dal “foglio degli anarchici” (noto come “tribuna libera”) che l’anarchico Boschi (solo omonimo della ministra) diffondeva nella cittadina lunigiana. Ieri lo stato d’assedio voluto dal Bava Beccaris portava la prefettura di Livorno ad affiggere (con maniere edittali) il lungo elenco di cittadini che dovevano presentarsi per essere spediti alle “prigioni di transito” (Tremiti, Favignana, Pantelleria...).

Inutili provocazioni poliziottesche quelle di ieri come quelle di oggi: le minacce del ministro dell’Interno Alfano ai disperati, con plauso del Pd. Quando i toni vengono esasperati e si falciano gli uomini in nome dello spread e dell’Ue, l’Italia viene rituffata a quel 1901: perché nessuno si candiderà mai col sorriso alla retrocessione sociale, e nessuno voterà mai per chi blocca l’ascensore sociale. La pancia anarchica di Livorno ha bocciato il Pd e promosso Nogarin, che certo non è un redivivo Bakunin, come Grillo non seguirà mai l’esempio di Bresci. L’anarchia di oggi è tutta virtuale, fatta di paroloni sulla rete.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:19