
Tutti vincitori, quasi nessuno sconfitto e qualche assuntore di gastroprotettore resistente. Che noia le solite analisi post-elettorali! In questo Paese, dopo ogni consultazione elettorale, si rovesciano tempeste di analisi del voto superficiali dove si dice “hanno vinto i parassiti” oppure “hanno vinto i pensionati”, o “l’importante è aver vinto”. Ancora meglio sarebbe tralasciare le elucubrazioni senza costrutto di coloro che dicono: “Oggi è un giorno di lutto” perché gli italiani non capiscono nulla e hanno sbagliato a votare.
Il voto è il voto e invece di criticare gli elettori o di autoincensarsi sarebbe meglio analizzare perché un determinato partito ha vinto o ha fallito in questa campagna elettorale e nel Paese. Karl Popper diceva: “Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l’abuso della libertà”. Libertà? Voto? Analisi? Cosa c’entrano? Per chi è liberale l’analisi e il discernimento sono i cardini della “ragione” e di conseguenza di quella cultura di modernità razionale che vuol dire progresso, libertà, individuo, che segna la condanna della tradizione del discutere senza capire e del deliberare senza conoscere, paradigmi irrazionali e liberticidi.
Discutere per capire a fondo è una passione civile senza se e senza ma. Una passione che deve vedere ogni cittadino impegnato nella difesa dei diritti della persona e degli ordinamenti politici che li garantiscono nell’ambito di quel consorzio solidale e virtuoso, unico mezzo dell’evoluzione del pensiero liberato dai retaggi del passato. Le analisi obiettive sono l’incipit illuminato per la realizzazione di uno Stato moderno, strumento di libertà, di uguaglianza e di fraternità contro poteri e privilegi, tradizionalmente legati ad una concezione teocratica e classista; così come alla limitazione dei poteri stessi dello Stato a tutela delle libertà e delle possibilità di scelta individuali e collettive degli individui nell’ambito di una sussidiarietà reale e non declamata. Quello che deve farci riflettere, in questo periodo, è la salute della democrazia, che è continuamente assillata dall’involuzione di certi soggetti politici, che è passata in pochi anni dall’anti-nazionalismo internazionalista all’anti-globalizzazione statalista, dalla difesa dei proletari a quella dei privilegiati di Stato o, per dirla terra terra, dal comizio al web.
Anche l’accresciuta importanza del potere economico rispetto a quello politico non è meno preoccupante. Infatti attraverso la globalizzazione dei rapporti di scambio, non si realizza il risultato di un disegno classista, ma la risposta all’incapacità dei singoli soggetti di divenire qualcosa di più e di diverso delle risultanti sempre più paralizzanti e delle lotte d’interesse tra corporazioni nazionali e internazionali. Ora, a parte l’excursus filosofico che potrebbe sembrare a prima vista inutile e noioso, è giunto il momento, dopo il risultato del Pd e di Matteo Renzi, di capire da che parte vuole andare il centrodestra, diviso, martoriato dalle faide interne, dai protagonismi personalistici e dalle conventicole affaristiche.
Riflettere e decidere per la creazione di una forza liberal-democratica capace di anteporre la libertà e il progresso a qualsiasi altro valore, così da combattere ogni sopraffazione fisica o morale dei diritti del cittadino. Si tratta di aprire la strada a quelle iniziative volte ad affermare e garantire il diritto di credere e di pensare, di esprimersi e di agire. È necessario che tutto il centrodestra si unisca, al di là di ogni tentazione di distinguo, faccia un’analisi approfondita, non della sconfitta ma della vittoria di Renzi, e prenda delle decisioni condivise con articolazioni centrali e periferiche, assegni ad ogni singolo i compiti essenziali propri dello stato di diritto per favorire la sussidiarietà e la devoluzione, promuovendo una più articolata diretta e partecipata amministrazione di ciò che può essere utile al benessere del cittadino, in chiave di un federalismo partecipato. Tutto il centrodestra deve sentirsi depositario della formazione del pensiero, tollerante e anzi tutore di chi professi opinioni o fedi diverse dalla propria, per costruire e sviluppare ancora di più il principio della libertà, inteso come fine e come mezzo: come fine, in quanto bene primario, individuale e collettivo; come mezzo, perché la libertà è anche liberatrice. Come volano di sviluppo e di innovazione, in quanto moltiplicatrice di conoscenze, di confronti e di opportunità per i singoli e per la collettività sociale. Istruzione, cultura, giustizia uguale per tutti, con una magistratura soggetta solo alla legge, non condizionata né politicamente né corporativamente e che, in quanto ordine indipendente ed autonomo da ogni altro potere, sviluppo economico condiviso e tutela del lavoro e dei lavoratori e famiglia devono essere le principali costanti, solo costanti e non variabili di un centrodestra che sappia contare su se stesso, prima che sugli altri, senza negare ma favorire con strumenti pubblici e privati, un sostegno solidale e non caritativo a tutti.
La scommessa per un centrodestra forte e unito è e deve essere la continuità e la stabilità dell’azione e del pensiero ottimista, promuovendo quell’identità necessaria che vada oltre ogni possibile personalismo, qualunquismo e populismo. Un pensiero di azione liberale per essere portatori, diffusori di riferimento dominanti e vincitori per il bene del Paese.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13