
Il tema del lavoro è oggetto di dibattito e di studio da diversi anni. Nel corso del tempo gli aspetti sensazionalistici ed emotivi hanno prevalso sulle misurazioni statistiche generosamente sfornate da enti pubblici e da istituti di ricerca, con esiti molto spesso in contrasto fra loro. I ricercatori vengono poi invitati ad esporre le loro argomentazioni in articolati dibattiti nelle numerose trasmissioni politiche oramai presenti in ogni catena televisiva e in gran parte delle testate giornalistiche del Belpaese.
La proliferazione di rubriche che trattano di politica e di economia induce a pensare che sia in atto un vero e proprio disegno di ingegneria sociale, con grande gioia dei complottisti che lo dicono da anni. Si parla di “lavoro che non c’è”, di economia liquida, di democrazia liquida, di globalizzazione, ecc. Il mantra è ripetuto con martellante ossessività dappertutto, ma non abbiamo ancora visto la realizzazione di una qualsiasi decisione che affronti la disoccupazione con metodo e linearità.
A questa inerzia negligente delle classi politiche precedenti ed attuali, va aggiunto il macigno dei limiti imposti (qualcuno ha ancora il coraggio di chiamarli accordi) dalle strutture decisionali “apicali” dell’Unione Europea composte da funzionari strapagati e non eletti da nessuno. Ci riferiamo al Fiscal Compact, all’interno del quale è prevista la totale immunità dei burocrati di Bruxelles anche in caso di errore conclamato! A dispetto delle dichiarazioni ottimistiche che provengono dal Quirinale, la situazione appare diversa, molto diversa. I governi dei Paesi membri avrebbero dovuto elaborare un vasto piano di riconversione dei lavoratori con ampio anticipo rispetto alle brutali trasformazioni che si sono poi realizzate in Europa, provocando una vera e propria macelleria sociale che ha letteralmente distrutto un’intera generazione di cittadini.
Parliamo dei giovani senza futuro e nell’impossibilità di avere un lavoro dignitoso sia in termini di retribuzione netta, sia in termini di compatibilità con la vita privata. Si parla tanto di equilibrio lavoro/vita privata, ma tale equilibrio è inattuabile in presenza di un diffuso precariato che getta l’Europa in mano a strutture per l’impiego che assomigliano sempre più ai “caporali” che assumevano sulla piazza del paese alle quattro del mattino.
La costruzione di un’Unione Europea totalmente asservita alle esigenze delle imprese e delle banche multinazionali, ha prodotto scarsità di lavoro e quello che esiste è totalmente precario. La precarietà provoca enormi costi umani, ha raso al suolo le conquiste sociali e reso impotenti le persone a reagire agli abusi di datori di lavoro, sempre meno interessati alla crescita professionale dei propri addetti che possono assumere con costi ridotti nella ruota girevole delle agenzie per l’impiego e pescando all’interno dei Paesi dove le tutele sociali sono più deboli o addirittura inesistenti.
La precarizzazione del lavoro, peraltro dequalificato perché tutto viene sempre più demandato alle macchine e all’informatica, sta creando un paesaggio sociale lunare e privo di prospettive sociali di futuro. La natalità precipita a livelli esistenti nei conflitti armati. La tenuta sociale dei Paesi membri dell’Unione sta scricchiolando sotto i colpi della crescente sfiducia verso le istituzioni comunitarie che cinicamente non intendono risolvere il problema disoccupazione, perché una manodopera affamata accetta comportamenti servili e salari più bassi.
La situazione non accennerà a migliorare finché non esisteranno strutture elettive aventi il potere di legiferare e di condurre l’Europa lungo un disegno politico che ponga particolare attenzione alla piaga della disoccupazione, causata in gran parte dall’assenza di piani nazionali di riconversione professionale adeguata alle nuove tecnologie e alle nuove logiche dello scambio che si sta affacciando in Europa e nell’Occidente in generale. Il binomio formazione-lavoro stabile sarà la risposta giusta per abbassare i tragici numeri da guerra civile che oggi sono presenti nell’Unione, con particolare gravità nell’area sud. Il diluvio di chiacchiere, l’assenza di formazione percepita come un costo e non come una opportunità, l’assenza di investimenti innovativi delle filiere produttive e dell’erogazione dei servizi non portano da nessuna parte, aggravano la disoccupazione ponendo in serio pericolo la tenuta sociale in Europa a favore della speculazione finanziaria che guadagna sul crollo dei Paesi in difficoltà, e con una struttura industriale sempre più gracile che getterà l’intera Unione Europea nelle mani della Cina, dell’India e della Russia. Saremo capaci di agire per tempo?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12