Si chiama Mers (dall’inglese: Middle East Respiratory Syndrome) o sindrome respiratoria mediorientale da Coronavirus, il contagio che inizia a spaventare il mondo.
Della stessa famiglia virale della Sars, che nel 2003 provocò 775 vittime nel mondo, la nuova sindrome sembra avere un livello di mortalità di quasi il 50 per cento, molto più alto rispetto al virus della Sars (9%) ma una più difficile trasmissione.
Sono già 142 i morti accertati per Mers, la maggior parte in Arabia Saudita; solo dagli inizi del mese di maggio gli ospedali del Regno hanno registrato 26 decessi. Diverse centinaia i contagiati in vari Paesi del mondo, e tutti avevano viaggiato in Paesi della Penisola arabica. Il virus è stato segnalato per la prima volta a Gedda, in Arabia Saudita, il 24 settembre del 2012, dal virologo egiziano Ali Mohamed Zaki. Secondo alcuni ricercatori sarebbe stato trasmesso all’uomo da cammelli infetti.
La patologia iniziale è irriconoscibile. Prima un comune raffreddore; poi i sintomi si trasformano in una grave sindrome respiratoria acuta, con presenza di febbre e tosse. La maggior parte dei pazienti ha poi presentato polmonite. In molti hanno sofferto anche di sintomi gastrointestinali. Dopo il decesso per contagio, nei giorni scorsi a Gedda, degli ultimi cinque pazienti contagiati, la preoccupazione nel Regno Saudita si è estesa anche al personale medico; quattro medici dell’ospedale “King Fahd” di Gedda si sono dimessi dal servizio, rifiutandosi di curare i pazienti per il timore di essere contagiati. Il ministro della Salute del Regno, Abdallah Al-Rabiah, si è dimesso a seguito delle accuse di aver sottovalutato il problema, ed è dovuto scendere in campo lo stesso re Abdullah, che si è recato in visita a Gedda per rassicurare la popolazione, preoccupata dopo che si erano diffuse indiscrezioni su una presunta mutazione del virus che potrebbe renderlo più aggressivo.
Fino ad ora la maggioranza dei casi, oltre che in Arabia Saudita, si sono registrati nei Paesi vicini: Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman, Giordania, Kuwait e Yemen. Sono stati inoltre rilevati casi di contagio in pazienti provenienti dall’area del Golfo persico anche nel Regno Unito, in Francia, in Tunisia, in Malaysia, Libano, Turchia, Grecia, Egitto e Stati Uniti d’America. Il 31 maggio del 2013 è stato segnalato il primo caso italiano. Si trattava di un cittadino giordano di 45 anni, residente in Toscana, che era tornato da un lungo viaggio in Giordania, dove uno dei suoi figli sembrava soffrisse di una forma influenzale non meglio specificata. Il giordano aveva poi contagiato la moglie e la figlioletta di appena 18 mesi.
I tre sono stati a lungo ricoverati in ospedale a Firenze per sintomi di Mers, tenuti in isolamento e sottoposti a trattamento medico. Tutti i soggetti, una sessantina, che erano venuti a contatto con i malati, sono stati sottoposti a stretta sorveglianza medica e sono poi risultati tutti sani e negativi alla prove di laboratorio.
La scorsa settimana un caso di infezione da coronavirus Mers è stato registrato per la prima volta anche in Olanda: il paziente era tornato di recente da un viaggio in Arabia Saudita, dove avrebbe contratto il virus, ed è stato posto in isolamento. Secondo un esperto americano del Centers for Disease Control and Prevention, il famoso Cdc di Atlanta, “il virus può salire in aereo e viaggiare intorno al mondo, deve solo trovare la persona giusta da infettare. A quel punto, atterrando in qualsiasi parte del mondo, la vittima lo trasmette”.
Il Servizio sanitario pubblico statunitense ha approvato un protocollo per contrastare la malattia che prevede l’isolamento dei contagiati in una camera speciale, che deve essere pulita e disinfettata regolarmente. Proprio le strette misure d’igiene sono l’unico modo per bloccare il contagio. Non tutti i Paesi, specie quelli della Penisola arabica, e non tutte le strutture sanitarie, garantiscono però le migliori condizioni igieniche ed è per questo che la diffusione è più veloce in quei Paesi, così come l’aumento del tasso di mortalità. Non esiste al momento un vaccino contro la Mers, che è comunque in fase di sperimentazione su animali nei laboratori del Cdc. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cui comitato per le crisi si è riunito di urgenza la scorsa settimana a Ginevra, ha deciso di non decretare lo stato di allerta per la salute pubblica globale per l’epidemia, data l’assenza di prove certe sul contagio diretto fra esseri umani. Tuttavia, l’Oms ha reso noto che la gravità della situazione è aumentata in termini di effetti sul sistema sanitario pubblico, criticando la scarsa prevenzione e il controllo dell’infezione da parte delle autorità dei Paesi coinvolti, in particolar modo l’Arabia Saudita. L’agenzia Onu chiede una campagna informativa per le strutture sanitarie, ma anche per il pubblico.
In molti aeroporti delle principali città del mondo sono riapparsi i rilevatori di temperatura corporea dei passeggeri in arrivo, che erano divenuti famosi nel 2003 durante l’emergenza della Sars. Anche il Centro europeo per la prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc), l’agenzia dell’Unione europea con sede a Stoccolma, ha messo in atto la sorveglianza attiva per individuare i possibili casi e approfondire le conoscenze sul virus e ha chiesto ai Paesi membri di fare altrettanto.
In Italia, dopo i casi di Firenze, il ministero della Salute, in stretto raccordo e coordinamento con le Regioni e in contato con Oms e Ecdc, ha attivato una rete di sorveglianza delle gravi infezioni respiratorie acute e delle sindromi da distress respiratorio acuto, istituendo una Rete nazionale per la gestione della sindrome da Mers e aggiorna tempestivamente il proprio sito.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12