Gli sprechi Rai si possono tagliare

In Rai si fanno i conti. In tutti i sensi. A Carlo Conti è stato affidato il comando della trasmissione del venerdì “Si può fare” con in giuria Pippo Baudo. Un format israeliano che mette in campo sfide di abilità tra vip. La giuria è una mania ormai, la trovi dappertutto. Conti è baciato dal successo come Maria de Filippi con “Amici”, che ha in giuria Gerry Scotti, Sabrina Ferilli e Luca Argentero o come “Nonno Libero”, alias Lino Banfi. Conti guiderà il “Festival di Sanremo” al posto di Fabio Fazio, che non si fa sfuggire l’occasione d’intervistare l’attrice-scrittrice Carla Signoris, moglie di Maurizio Crozza.

Una volta lo slogan di viale Mazzini era “Di tutto, di più”. Ora ci si è messo il premier Matteo Renzi a chiedere 150 milioni di “spending review”. Si può fare quello che chiede il Presidente del Consiglio? Di fronte alle crescenti accuse di sprechi e di cattiva gestione, il consiglio di amministrazione ha deciso di adottare i limiti di stipendio previsti per le società pubbliche: 240mila euro lordi l’anno. Cosa accadrà in concreto? I dati aziendali dicono che almeno 43 dirigenti sarebbero colpiti dal taglio a partire dai 650mila euro del direttore generale, ai 366 della presidente Anna Maria Tarantola (superpensionata della Banca d’Italia), per toccare poi Augusto Minzolini (sopra i 500mila), l’ex direttore generale Lorenza Lei, l’attuale vice Antonio Marano e via di seguito. Come si arriva ai 150 milioni su cui insistono Renzi e il sottosegretario Antonello Giacomelli? Ci vuole un piano. Non quello industriale presentato da Luigi Gubitosi, che fa acqua da tutte le parti.

Affrontare il discorso per slogan come ha fatto l’ex sindaco di Firenze a “Ballarò” non porta lontano. Recuperare l’intollerabile evasione del canone non è soltanto una questione dell’azienda. È infatti il ministero del Tesoro che raccoglie i soldi dei contribuenti e poi ridistribuisce (una parte e con ritardo) alla Rai. Non è neppure risolutivo mettere in vendita quote di Raiway (ci aveva provato l’allora presidente Pd, Roberto Zaccaria), perché così si smantella quel sistema di torri che distribuiscono il segnale Rai su tutta la penisola, costruito faticosamente negli anni e che insieme alle teche costituisce un patrimonio vitale per l’azienda. C’è qualche soluzione allora per tagliare sprechi, riformare l’azienda e ridare al servizio pubblico la centralità perduta?

La possibilità c’è scegliendo quale dovrà essere la natura e la missione della Rai. La britannica BBC, così spesso richiamata, e la spagnola TVE vivono e operano senza pubblicità. In Francia TF1 un tempo pubblica è stata venduta ai privati e ora France Télévisions come le tedesche pubbliche ARD e ZDF non mandano in onda spot nelle ore di massimo ascolto. La Rai ha 13mila dipendenti, la BBC 21mila. Soltanto che quest’ultima ha un giro d’affari doppio di quello della Rai perché realizza programmi che vengono acquistati anche all’estero. La Rai no. Compera, appalta e manda in onda trasmissioni fatte da precari, case di produzione e post-produzione che si spartiscono una torta di miliardi.

La Guardia di finanza, su incarico della Procura di Roma, starebbe indagando su 33 società televisive legate ai programmi di viale Mazzini che deve riempire tutti i canali 24 su 24 ore pur avendo 190 giornalisti alla radio, 200 circa a Rainews post Mineo fusa con Televideo, 170 al Tg1, più un migliaio di precari tra “Porta a Porta”, “Ballarò” e altre trasmissioni (contratti da settembre a giugno). E i programmi? Invece di farli si comperano. Poi dopo i tagli agli stipendi si potrebbero ridurre gli ingaggi a non pochi conduttori-conduttrici.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02