Golpe condiviso, denunce intermittenti

Golpe bianco, golpe sobrio, golpe internazionale. Tutti si dilettano ad aggettivare in maniera più o meno originale l’arcinota, nebulosa vicenda che cancellò il Governo Berlusconi nel 2011. Noi non sappiamo se esso sia avvenuto realmente e nemmeno in quali forme e a che livello di potere sia stato attuato. Ci rimangono una serie di dubbi che, messi in fila, danno la sensazione che qualcosa accadde e che più di un protagonista della vita politica italiana ed internazionale abbia molto da spiegare. Il principale indizio risiede nell’eccessiva congruenza della versione dei fatti raccontata in questi anni da tutti coloro che, volontariamente o no, hanno contribuito ad accendere un faro sulla vicenda.

Il primo a vuotare il sacco, infatti, fu il settimanale britannico “The Spectator”, che il 12 novembre del 2011 pubblicò un articolo in cui rivelava che l’eliminazione politica del Cavaliere era stata imposta dal cosiddetto Gruppo di Francoforte. Ne facevano parte Mario Draghi, Christine Lagarde, Manuel Barroso, Herman Van Rompuy, Claude Juncker, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.

“Dobbiamo essere pronti ad agire rapidamente e anche in modo non convenzionale” avrebbe detto Angela Merkel nella riunione di Cannes, specificando che il piano necessitava anche di appoggi interni alla maggioranza di Governo. Successivamente anche Zapatero, nel suo libro “El Dilema”, scrisse che Silvio Berlusconi era caduto perché non aveva voluto inginocchiarsi ai poteri forti. Raccontò che gli euro-scherani minacciarono il Premier italiano di forti ritorsioni se non si fosse piegato al loro volere. Questi ricorda anche che nei corridoi del palazzo del festival di Cannes – “una fortezza assediata dai mercati” - già si sussurrava il nome di Mario Monti, il tecnico che prese le redini del Governo dopo la caduta di Berlusconi.

Venne poi il momento del libro di Alan Friedman, secondo cui Napolitano convocò Monti addirittura nel mese di giugno del 2011 lasciandogli intravedere la possibilità di una sua rapida sostituzione di Berlusconi. Contestualmente gli sottopose, per il tramite di Corrado Passera, quello che sarebbe stato il futuro programma di Governo sul quale il banchiere lavorava ormai da tempo. Questo mentre Berlusconi non accennava nemmeno a possibili dimissioni, le fibrillazioni politiche erano minime e lo spread era tra i 150 e i 200 punti base. Di lì a poco la Banca Centrale Europea avrebbe inviato una lettera minatoria con delle stringenti prescrizioni per l’Italia e la signora Merkel avrebbe inscenato con il degno compare Sarkozy la conferenza stampa con annessa risatina verso l’Italia. Berlusconi si sarebbe dimesso nel mese di novembre (con lo spread a 500), ma “i lavori preparatori” sarebbero verosimilmente cominciati almeno cinque o sei mesi prima.

A ciò si aggiunga l’inspiegabile colpo di testa di Gianfranco Fini, in quel periodo sentinella quirinalizia e rottamatore del centrodestra, per ricavarne un quadro fosco e forse influenzato in qualche modo dall’ambasciatore americano il quale, nel famoso cablogramma indirizzato alla Casa Bianca, affermava di aver “avviato un’offensiva diplomatica con figure chiave dentro e fuori il Governo italiano”, anche attraverso la valorizzazione di “think tank” interni all’allora Popolo della Libertà. Vicenda nota, quindi, della quale si interessò anche Bini Smaghi (ex membro della Bce) nel libro “Morire di austerità”, nel quale confermò che Silvio Berlusconi fu “fatto fuori” perché voleva uscire dall’Euro. Cos’altro serve per dare credito alla vicenda?

Alla provinciale stampa italiana mancava solo il suggello “Ammerigano” per reputare credibile una storia altrimenti considerata inesistente e frutto di fantasiose ricostruzioni ad opera dei soliti maniaci del complotto. Tale conferma è prontamente arrivata: “Fui avvicinato – dichiara l’ex segretario del Tesoro americano, Tim Geithner nel suo libro Stress Test – da due emissari dell’Ue che mi chiesero l’aiuto degli Stati Uniti per fare cadere il presidente Berlusconi; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato. Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente – scrive ancora Tim Geithner – ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. Non possiamo avere il suo (di Berlusconi) sangue sulle nostre mani”.

Una serie di indizi chiari, quindi, che portano ad un’ipotesi concreta basata su un chiaro tentativo di influire per via politica e finanziaria sul normale corso democratico di un Paese come l’Italia, appetibile terra di conquista e competitor scomodo (se indipendente) sul mercato. Restano una mole impressionante di dubbi che le dichiarazioni intermittenti di Berlusconi e le doverose smentite di Napolitano non riescono a dipanare: perché il Quirinale, che non sapeva del complotto, preparava con Monti (molto tempo prima delle dimissioni del Cavaliere) un nuovo Governo? Come mai Zapatero, Geithner, Friedman, lo stesso Monti e molti altri raccontano tutti la stessa vicenda? Ci furono basisti in Italia? Da chi erano coordinati? Pagheranno? Come mai nessuno ha convocato l’ambasciatore americano per avere chiarimenti su quanto affermato da Geithner, ex braccio destro di Obama? Perché Berlusconi si dimise senza denunciare subito il golpe? E perché appoggiò addirittura Monti e la rielezione di Napolitano? Cosa gli avevano promesso?

Intanto Matteo Renzi tace forse perché, non essendo passato per le urne come i suoi due predecessori, potrebbe essere la pedina di un disegno che parte da Monti per arrivare a lui, ma forse anche per una serie di convenienze tattiche che sconsigliano di commentare la vicenda. Forse nessuno meglio di Nigel Farage, europarlamentare britannico, seppe descrivere i metodi della “euro-cupola” allorquando, prendendo la parola in aula, spiegò che: “Quando il presidente greco Papandreu ha pronunciato la parola referendum, l’avete fatto rimuovere sostituendolo con un governo fantoccio. Che spettacolo disgustoso. Non soddisfatti avete deciso che Berlusconi doveva andarsene. Così è stato rimosso e sostituito da Monti, ex commissario europeo, vostro collega corresponsabile di questo disastro, un uomo che non era neppure membro del Parlamento. Sta diventando come un romanzo di Agatha Christie, ci si chiede: chi sarà il prossimo a essere fatto fuori? Siete voi che dovreste essere licenziati. A lei, mister Van Rompuy, dissi che sarebbe stato l’assassino silenzioso delle democrazie nazionali. Mi devo ricredere: lei è stato piuttosto rumoroso. Lei, un uomo non eletto, si è recato in Italia e ha detto: “Questo non è il momento di elezioni, ma di azioni”. Chi, in nome di Dio, le ha dato il diritto di dire questo al popolo italiano?”.

Aveva ragione ma fu lasciato solo visto che il fronte liberale italiano si mostrò colpevolmente troppo molle sul tema e non denunciando alla Nazione il losco tentativo in atto. Una storia inquietante, questa, anche se purtroppo finirà a tarallucci e vino con la solita commissione parlamentare d’inchiesta, efficace espediente tutto italiano buono per insabbiare vicende scomode fino a quando l’opinione pubblica non se ne sarà dimenticata. Sembra quasi che in questa vicenda abbiano tutti da perdere; ragion per cui protestano ma non troppo, commentano ma a bassa voce, chiedono inutili commissioni, precisano in note ufficiali solo se costretti, non insistono più di tanto, mettono la sordina dopo aver fatto la recriminazione d’ufficio. Che non si tratti di un golpe condiviso? Lo so, sarebbe troppo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11