Mafia e beni confiscati:   tranquilli, calabresi

Che Matteo Renzi avesse formidabili doti di affabulatore e di venditore del nulla lo sapevamo da parecchio. La gente, ormai al limite della disperazione, lo ascolta incantata e si aggrappa alle sue parole come ancore di salvezza. Anche nella recente visita in Calabria, malgrado le contestazioni, ha saputo destreggiarsi con grande baldanza aggiungendo, al repertorio ormai trito e ritrito degli 80 euro e dei 3mila posti sottratti ai politici con la cancellazione delle Province, il tema della lotta alla ‘ndrangheta e della necessità di combatterla approvando l’emendamento sul voto di scambio.

Probabilmente il “Fonzie della politica” è convinto che gli bastino poche parole per combattere il cancro che affligge le regioni meridionali (e ormai non solo quelle), oppure sottovaluta colpevolmente il problema. Mentre pronunciava quelle parole contro le organizzazioni criminali, sapeva che era in corso un’operazione del Governo per smantellare l’Agenzia dei beni confiscati alle mafie che il Governo Berlusconi aveva deciso di insediare a Reggio Calabria all’indomani dell’attentato dinamitardo alla Procura generale di quella città, il 3 gennaio 2010. Scelta obbligata sia per l’ingente patrimonio confiscato alle ‘ndrine, che come segnale di reale attenzione dello Stato ad uno dei territori martirizzati dalla criminalità organizzata.

La scelta di Reggio come sede principale fu accompagnata dalla individuazione di ben quattro altre sedi secondarie quali quelle di Palermo, Napoli, Roma e Milano con l’obiettivo di passare dalle pratiche inutili dell’antimafia da convegni e dalle vergognose passarelle periodiche dei vertici dell’Antimafia, a fatti più concreti come la gestione reale dei beni confiscati a partire dai territori-culle di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Il Governo Berlusconi, pur avendo deciso che a capo dell’Agenzia doveva andarci un prefetto, e avendo nominato a tale ruolo il prefetto Caruso (da tre mesi in pensione), non fece in tempo a dotare l’Agenzia del regolamento organizzativo per il sopraggiunto cambio di mano operato a Palazzo Chigi con il professor Mario Monti (novembre 2011). Nelle leggi finanziarie successive fu inserita e auspicata l’emanazione di detto regolamento e, addirittura, si stabilì che doveva vedere la luce nel giro di 6 mesi, ma lo si sta ancora attendendo. Questo ritardo cominciava a puzzare quando il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, scavalcando il suo ministro Angelino Alfano, ha annunciato alla Commissione parlamentare antimafia lo spostamento dell’Agenzia a Roma.

Non è inutile ricordare che la scelta di insediare l’Agenzia a Reggio Calabria porta le firme di Silvio Berlusconi, Roberto Maroni (allora ministro degli Interni) e Angelino Alfano (allora ministro della Giustizia) che, oggi, per non perdere la faccia, dichiara che “Reggio non si tocca. La sua cancellazione non esiste. È questa la linea che sosterrò”. È chiaro che non poteva fare altrimenti per non deludere e far perdere la faccia anche al suo uomo forte in Calabria. Ma la vicenda non è affatto conclusa se lo stesso Angelino dichiara: “Figuriamoci se da parte mia posso accettare che l’Agenzia venga spostata. Sono convinto che tutto il Governo sarà su questa posizione”. E aggiunge: “I calabresi stiano tranquilli”, frase che ci ricorda un altro famoso invito alla tranquillità non andato a buon fine (copyright di Renzi rivolto a Enrico Letta).

In parole semplici. Alfano tenta di evitare che la tegola che gli è piombata addosso produca molti danni, e mentre dichiara che lui non può accettare lo spostamento dell’Agenzia si limita a dichiarare che “sono convinto che il Governo sarà su questa posizione”. Qua nessuno è fesso: il viceministro Bubbico del Pd non si sarebbe mosso senza l’ok del capo del Governo che non ha garantito nulla al suo ministro dell’Interno e, presumibilmente, ha scelto di confrontarsi sull’argomento solo dopo le elezioni europee dalle quali può dipendere la sua sopravvivenza. Le convinzioni di Alfano, comunque, non ci interessano. Perché non una dichiarazione di Renzi?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:09