
Al decesso di Emilio Riva, i sindacati chiedono garanzia sul futuro dello stabilimento siderurgico di Taranto. Con la sua morte è come se si chiudesse un ciclo della storia dell’imprenditoria italiana nata dalla dissoluzione dell’industria di Stato e finita nei tribunali.
Il patron dell’Ilva è morto ad 88 anni, per cui non vedrà il processo per disastro ambientale. Emilio Riva era uno dei 53 imputati per i quali la Procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a disastro ambientale. Il processo comincerà il prossimo 19 giugno a seguito dell’inchiesta “Ambiente svenduto”.
Oggi il siderurgico di Taranto è commissariato sotto la gestione di Enrico Bondi. L’acquisizione dell’Ilva è avvenuta nel 1995, nell’ambito delle privatizzazioni dell’Iri per una cifra molto discussa di 1450 miliardi. I commenti ricordano il rapporto molto critico di Riva con la città e il futuro dell’azienda. Il sindaco di Taranto Stefàno ha ricordato che con l’ingegner Riva non aveva una frequentazione assidua. In sette anni di amministrazione si sarà incontrato con lui sei, sette volte al massimo e sempre per incontri istituzionali. E Riva, a suo dire, aveva avuto con la comunità tarantina un rapporto distaccato e questo fu un errore perché condizionò il rapporto con la città sin dall’inizio.
Onofrio Introna, presidente del Consiglio regionale della Puglia, sul futuro dell’Ilva si è augurato che l’azione dei commissari possa proseguire con il coinvolgimento delle istituzioni e dei sindacati, all’insegna dell’impegno teso a coniugare il diritto dei tarantini alla tutela ambientale e della salute, con la tutela occupazionale di migliaia di lavoratori e famiglie e con le esigenze della produzione. Toni molto duri sono stati invece quelli di Rifondazione comunista, a firma del circolo “Peppino Impastato” di Taranto. Il giudizio espresso è stato questo: Emilio Riva muore così alla vigilia del processo in cui è stato imputato di reati gravissimi mentre l’Ilva è sull’orlo del baratro. La sua storia secondo Rifondazione ci parla di una certa razza padrona italiana cresciuta grazie a gruppi politici compiacenti. Infine, Rifondazione comunista esprime un “no” deciso al piano di privatizzazione che il Governo Renzi si appresta ad attuare.
Per D’Isabella, segretario generale della Cgil di Taranto, “è importante in questa fase così delicata che non vi siano elementi di difficoltà. Credo che si debba prendere in mano questa vicenda perché il futuro della siderurgia italiana dipende dalle condizioni di Taranto”.
“Non lascia un buon ricordo nella nostra avventura lavorativa”, sono invece le parole di Panarelli, segretario della Fim-Cisl, che però ha aggiunto: “Indubbiamente, al di là dei fatti accaduti a Taranto che sono negativi, se ne va un imprenditore che ha fatto la storia della siderurgia”.
Cinismo e rabbia invece sono stati espressi in rete da parte dei tarantini, nessun dolore nei commenti ricordando i problemi ambientali e sanitari della città. Per il sistema industriale italiano c’è anche un cambio culturale da fare. Così si è espresso sulla questione il segretario nazionale della Fiom-Cgil Maurizio Landini, intervenendo a Taranto al dibattito in occasione del Primo Maggio. Per tanti anni non ci si è posti il problema della qualità di quello che si produceva e degli effetti che poteva avere, ha riferito, auspicando che si sia in grado di coniugare il diritto al lavoro con il diritto alla salute. Un giudizio, questo, senz’altro condivisibile ma che non può prescindere anche da altre osservazioni importanti che nessuno ha evidenziato. Nessuno, per esempio, ha detto che il cambio culturale lo deve fare soprattutto lo Stato come complesso di organi di controllo e apparati istituzionali. Per anni, infatti, questo Stato è stato se non complice almeno sostenitore di quel tipo di industria irrispettosa del territorio dal punto di vista ambientale, come si è visto anche con le recenti inchieste della magistratura.
I vent’anni che vanno dagli anni Sessanta agli anni Ottanta sono stati catastrofici per Taranto. Il raddoppio dell’Ilva, che era l’Italsider di Stato, venne attuato senza alcun dubbio non ascoltando chi già ne evidenziava i pericoli e premiando quella parte preponderante della politica e del sindacato che si definiva a favore degli operai. Quando poi a metà degli anni Novanta l’Iri svendette a Riva l’Italsider indebitata, lo Stato se avesse esaminato le condizioni ambientali dello stabilimento non avrebbe non potuto decretarne la chiusura. Oggi dopo vent’anni le condizioni sono diverse, e chiediamo pure al privato che faccia quello che gli tocca fare per migliorare la situazione, ma chiediamo soprattutto allo Stato (reo di non essere intervenuto prima) di dimostrare almeno ora di voler risarcire davvero i lavoratori e i cittadini di Taranto.
Il problema resta il solito, allora come ora, quello di rivendicare soprattutto allo Stato in grave debito di responsabilità, e senza ulteriori sconti o capri espiatori, che faccia il suo dovere e se ne assuma tutte le conseguenze.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07