Funesto copione di un’indagine

Povera Yara: se da lassù dovesse seguire l’incomprensibile spettacolo messo in piedi dai “terreni” e che i più si ostinano a definire “indagini”, di certo non sarebbe contenta.

Noi ci permettiamo di esprimere (e non è la prima che lo facciamo) tutti i dubbi possibili, e anzi ci permettiamo di chiedere come mai dal 26 novembre del 2010, data del rapimento della giovane trovata morta tre mesi dopo in un campo, le indagini siano ancora in mano a chi ha evidentemente dimostrato di non sapere che pesci prendere. Continuiamo cioè a chiederci cos’altro ci si potrà mai aspettare di astruso da una siffatta inchiesta che, nel suo funesto copione ha fatto annotare di tutto negli annali delle inchieste giudiziarie nostrane: l’abbordaggio di una nave, il costoso esame del dna agli abitanti di intere vallate, la riesumazione di salma, la ricostruzione di storie e relazioni uomo-donna col morto.

Nell’inchiesta per l’omicidio di Yara Gambirasio ce le hanno davvero dette e fatte vedere di tutte, se ne sono inventate quante più possibili anche al di là di ogni umana e ragionevole possibilità, ma una cosa gli inquirenti non sono ancora riusciti a farci comprendere: chi ha ucciso la giovane Yara? Sapete, dopo oltre tre anni dal rinvenimento del cadavere, non ci sembra un interrogativo di poco conto. E poi, infine, un altro dubbio: i dati genetici relativi agli esami del dna effettuati su migliaia di persone – dati evidentemente non più utili alle indagini per le quali sono stati utilizzati – che fine hanno fatto? Sono stati distrutti o conservati? E in questo, malaugurato, secondo caso, chi materialmente può accedere a questo archivio di dati personali così delicati?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:19