
Viale Mazzini 14, addio. Addio anche a via Cernaia a Torino e Corso Sempione a Milano. Le storiche sedi della Rai, compresa quella romana con il “cavallo morente” dello scultore Francesco Messina (nella foto), sono in vendita.
Addio allora al mitico “settimo piano”, che ha conosciuto le più intricate vicende dell’azienda pubblica. Non solo per essere il luogo delle “stanze del potere”, del presidente, del direttore generale, dei consiglieri d’amministrazione. C’era la mensa, il caffè con vista panoramica sul “Cupolone”.
È stato l’ultimo direttore generale, Luigi Gubitosi, di scuola Fiat e provenienza Wind (in carica dal 17 luglio 2012, sponsorizzato dal Governo Monti) a proporre, presentando il bilancio 2013, il progetto di lasciare viale Mazzini e gli altri palazzi storici (anche per la presenza dell’amianto) per trasferire altrove le sedi operative dell’azienda.
Un precedente c’è stato poco prima degli anni Novanta, quando venne presa in considerazione la possibilità di trasferire tutta la Rai a Cinecittà (di proprietà dell’Iri come la Rai) facendone la città del cinema, della televisione e della radio. Ci fu la ribellione dei dipendenti, ma la necessità di creare una struttura che servisse tutte le radio e televisioni del mondo accreditate per i Mondiali del 1990 spinse a realizzare il centro a Saxa Rubra, utilizzando un vecchio progetto pubblico.
Gubitosi si dice soddisfatto del bilancio 2013, polemizzando con Beppe Grillo che aveva previsto un buco di 400 milioni. Il rosso non c’è stato. Anzi, il bilancio è stato chiuso con 5,3 milioni di attivo. Tutto bene? Quattro milioni di utile c’erano anche nel 2011, quando il gruppo Rai registrò ricavati per 2.970 miliardi di euro (64% Rai, 32% Sipra). Gli abbonati paganti erano 16 milioni e 300mila, più 903mila abbonati morosi iscritti a ruolo (evasione canone al 27%). I dipendenti 10.196. L’anno successivo i ricavi sono scesi a 2.760 miliardi, a causa della riduzione dei ricavi pubblicitari. Gli abbonati morosi erano saliti a 995mila e anche i dipendenti erano aumentati a 10.476, che nel complesso del gruppo erano ben 11.661 al 31 dicembre.
Nei primi due anni della gestione Gubitosi i proventi dal canone sono stati 1.700 miliardi nel 2011 e 1.740 nel 2012. I proventi della pubblicità sono scesi da 88 a 67 miliardi e gli altri ricavi da 23 a 20 miliardi. Lo share è stato del 40,2% nell’intera giornata e del 41,3% nella fascia di prima serata nel 2011. È sceso al 39,8% nelle 24 ore, rimanendo fermo al 41,3 per cento in prima serata nel 2012.
Catastrofico il bilancio della radio, che ha perso posizioni (Radio1 è scesa al quinto posto in classifica nazionale), con una perdita di introiti in 5 anni da 72 a 48 milioni. Gubitosi in circa tre ore, dieci video e duecento slide presentate ai 40 cronisti specializzati non ha convinto sulle prospettive future dell’azienda. Restano i dubbi sul piano industriale, sulla sistemazione di circa 2mila precari, sul rimpiazzo dei 700 giornalisti, dirigenti e tecnici che hanno accettato l’esodo incentivato, sulle produzioni esterne, sulla digitalizzazione ancora non completata dal Tg1 al Tg3 e sulla massa di cassette da archiviare. Resta poi il nodo della riforma delle sedi regionali e dei centri di produzione. Senza viale Mazzini, via Cernaia e Corso Sempione se ne va una gran parte della vecchia Rai.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:10