Fecondazione “Eterologa”

Iniziamo con il precisare il significato delle parole. La fecondazione eterologa (dal greco “eteros” = diverso, differente) si realizza quando avviene con gameti (ovuli o sperma) non appartenenti alla coppia dei genitori, ma provenienti da persone diverse, differenti.

Qual è esattamente il pronunciamento della Consulta del 9 aprile scorso? Si afferma che se c’è infertilità assoluta è illegittimo il divieto di ricorrere, per la fecondazione, a un donatore esterno. Cioè si può ricorrere a una persona esterna alla coppia. E ciò, ovviamente, anche se la legge era stata votata da un parlamento liberamente eletto e la sua abrogazione era stata negata da un referendum svoltosi legittimamente. E ciò anche se, secondo i rumors, il risultato della votazione è arrivato con una maggioranza risicatissima. Su 15 giudici costituzionali, 8 sarebbero stati favorevoli e 7 contrari. Ma, essendo la Corte un organo collegiale, è il risultato finale che conta.

Possono usufruire della sentenza della Corte Costituzionale solo le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Rimangono quindi esclusi da questa sentenza i partner dello stesso sesso e i single. Bisogna attendere, però, che siano depositate le motivazioni di questa decisione per comprendere la vera portata di questo pronunciamento.

La sentenza, però, apre subito nuovi problemi. Esistono, cioè, tanti aspetti problematici che derivano dalla fecondazione eterologa e che devono ancora essere fissati dal legislatore (come dice il ministro Beatrice Lorenzin e come afferma anche lo stesso professor Umberto Veronesi, che è stato uno dei promotori del referendum abrogativo). È necessaria, cioè, una regolamentazione. Anche perché nei Paesi in cui esiste già la fecondazione eterologa sono presenti norme differenti che variano da Paese a Paese. Ricordiamo qualcuno di questi nuovi problemi.

1) I figli della fecondazione eterologa hanno un genitore biologico, con cui il futuro nato non avrebbe mai contatti, e due genitori – chiamiamoli “sociali”. Supposto che l’interesse dei bambini deve avere la preminenza su tutte le problematiche, anche quelle concernenti i genitori, si pongono tanti interrogativi: il futuro nato ha il diritto di sapere la verità, di conoscere cioè le sue origini, di essere informato di chi egli è realmente figlio, oppure bisogna propendere per l’anonimato? E poi, bisognerebbe preservare sempre l’anonimato di coloro che cedono i gameti? Quali i rapporti tra il nato, la coppia e il donatore? E, infine, le norme che dovrebbero intervenire in proposito, dovrebbero essere di ordine generale, cioè devono osservarsi sempre o devono poter ammettere delle eccezioni (come afferma il professor Stefano Canestrari, ordinario di Diritto penale all’Università di Bologna)?

2) Esiste già una norma che vieta il commercio dei gameti. Ma il rischio della commercializzazione dei gameti è grande ed è reale. I donatori non dovrebbero ufficialmente percepire soldi. Di fatto, la gratuità tende a non esistere, anche perché c’è la possibilità che venga usata la scappatoia del “rimborso spese”. I gameti, quindi, tendono a diventare “merce”. La mercificazione dei gameti è reale, soprattutto, poi, se si ricercano gameti che sembrerebbero assicurare risultati molto positivi (addirittura selezionandoli) per il futuro nato.

Da parte cattolica vi è stato subito un grande dissenso verso la fecondazione eterologa. È vero che non può esistere il “diritto al figlio” (esiste solo un profondo e indiscutibile desiderio di avere un figlio), proprio perché il figlio è una “persona”, e, in quanto persona, è al di sopra di ogni altro diritto, né può essere “possesso” di qualcun altro. È vero anche che una coppia, che non viva in regime poligamico, esige, simultaneamente, un solo papà e una sola mamma, e, quindi, non si può inserire un terzo: il donatore.

Tuttavia alcuni cattolici ribadiscono che lo Stato laico non può avere, nel legiferare, un approccio di tipo religioso. Pur rispettando quest’ultimo, lo Stato laico deve decidere in piena autonomia, purché proceda nella ricerca del conseguimento del “bene comune”. Così come i cattolici rifiutano il divorzio, dal loro punto di vista dottrinale, ma, poi, non possono non accettare che lo Stato laico lo introduca. Così ogni sentenza, compresa questa della Corte Costituzionale, si può non condividere, si può anche criticare aspramente, poi però va accettata ed applicata.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02