
Sembrerebbe che la famosa frase dell’usciere che avrebbe più potere dello suo capo, pronunciata da qualcuno che, al culmine di uno scatto d’ira, non ne poteva più dei soprusi di un semplice addetto al filtro, tra dirigenza e pubblico, all’entrata di un ufficio, abbia avuto una plateale conferma da ciò che è successo a Strasburgo in riferimento all’istanza del Cavaliere tesa ad ottenere il via libera alla propria candidatura alle prossime Europee. Candidatura messa in discussione dalla condanna di Berlusconi al processo Mediaset con l’applicazione retroattiva della “Legge Severino”.
La vicenda della reiezione della domanda presentata dai legali di Berlusconi, per un pronunciamento del Consiglio d’Europa sulla candidabilità del Cavaliere alle prossime elezioni europee, è un caso sintomatico che la frase sull’usciere sia valida un po’ in tutto il mondo. Il no all’istanza, infatti, non viene dai giudici della Corte europea che, in questi anni, hanno saputo costruire un’immagine esemplare di come si amministra la giustizia, ma proviene dall’usciere che, in questo caso, è il segretario della cancelleria della Corte che, come ci informa in un articolo Ana Palacio (ex ministro degli Esteri spagnolo), e ora avvocato di Silvio Berlusconi, ha notificato alla stessa la sua decisione.
Secondo il nostro usciere “non ricorrono gli estremi del danno irreparabile” e, quindi, non ci sarebbe urgenza di dover passare la pratica alla valutazione di un giudice. Ma è semplicemente incredibile che un funzionario decida, anche se fosse “delegato”, quale pratica è da porre all’attenzione e alla valutazione di un togato e quale invece non lo è. Ma sarebbe altrettanto incredibile pur nel caso che il firmatario del rigetto abbia agito su input di inaccettabili pressioni esterne “interessate”, o su consiglio dello stesso giudice, a cui invece è demandata la valutazione di merito, che così tenta di scrollarsi di dosso le conseguenti e legittime proteste e polemiche. In questa ultima ipotesi ci sarebbe, incomprensibilmente, una specie di anticipazione della decisione finale. “Non ti concedo la sospensione della pena afflittiva (l’incandidabilità) - sarebbe il messaggio cifrato - perché non ne hai diritto e, pertanto, non hai urgenza della sospensione perché quando tratteremo il merito ti sarà dato chiaramente torto”. Altro che giudice Esposito che ha anticipato, ad un giornale, solo le motivazioni della sentenza emessa dalla sezione feriale della Cassazione da lui presieduta. Qui, invece, saremmo addirittura alla pronuncia, sottobanco, della sentenza stessa che darebbe l’impressione che tutto sia ormai deciso e a nulla varranno le difese, in punta di diritto, sostenute da principi del foro.
Ma anche se questa ipotesi non fosse vera restano oscuri i motivi che hanno determinato la Corte che, in passato, si è distinta per il coraggio delle sue decisioni, sostenute dal convincimento che la Convenzione dei diritti per essere viva deve far sì che le sue “garanzie siano concrete ed effettive e non teoriche e illusorie”. Nel caso specifico la “delega all’usciere”, e il possibile successo di quella iniziativa, comunque maturata (da solo o su pressione esterna), sarebbe, come dice Ana Palacio, una specie di rinuncia della Corte ad espletare il proprio ruolo a giudicare, che in definitiva sarebbe anche una menomazione dei diritti di una parte consistente dei cittadini italiani che speravano di trovare “un giudice a Strasburgo”.
E anche in questo caso appare difficile che un semplice funzionario si sia mosso da solo senza subire, sotto sotto, influenze e condizionamenti esterni che possono venire anche dal convincimento che i tempi siano maturi per vedere assiso alla presidenza della Commissione Europea il famoso Martin Schulz, storico nemico di Silvio Berlusconi col quale ha avuto un durissimo scontro al Parlamento europeo e che fu qualificato dal Cavaliere come “kapò”. Gira e volta c’è sempre lo zampino, diretto o indiretto, della sinistra forcaiola? Tutto è possibile.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13