Tra il giudizio e il braccialetto

Passano più di quattro anni dall’apertura delle indagini su conto del signor Giuseppe, e per un fatto ancor più vecchio, che lo vedeva solo marginalmente coinvolto. Così Giuseppe aveva rimosso il brutto ricordo e messo su famiglia, s’era pure inserito lavorativamente (cosa rara per i nostri giorni).

Ma, dopo tanto tempo, piomba nel 2014 come un lampo a ciel sereno una “conclusione d’indagini preliminari”. Giuseppe viene velocemente ristretto nel carcere di Rebibbia, e con l’accusa di spaccio di droga. Il suo legale è Luciano Randazzo che, dopo affannose e ripetute richieste di mutamento della misura da “custodia cautelare” nella più lieve dei domiciliari, riesce a spuntarla. “Dopo due mesi otteniamo il provvedimento autorizzativo - ci spiega Randazzo - con l’applicazione della misura accessoria del braccialetto elettronico. Richieste dettate non solo dal fatto che a Giuseppe non è stata imputata l’associazione per delinquere, quindi siamo nell’ipotesi più lieve, ma anche dal fatto che sua moglie è in attesa del loro secondo bambino. In sede d’interrogatorio, circa due mesi fa, l’eventuale applicazione della misura del braccialetto era già stata prospettata dal Gip, e accettata dal mio assistito.

Qualche giorno fa avevamo dato la lieta notizia alla moglie: suo marito sta tornando a casa. Sono ormai trascorse più di quarantott’ore e Giuseppe è ancora recluso. I carabinieri giustificano il contrattempo imputando tutto alla Telecom. L’addetto della società telefonica dovrebbe passare dal luogo di residenza di Giuseppe al fine di accertare se sussistano le condizioni tecniche e di campo per poter applicare agevolmente la misura del braccialetto. Ad oggi - precisa l’avvocato - del tecnico Telecom non c’è traccia”.

La traduzione a casa di Giuseppe si sarebbe dovuta risolvere in meno di ventiquattr’ore, stando a quanto veniva propagandato dopo l’approvazione del decreto sui “braccialetti elettronici”. Ma dopo quasi tre giorni tutto tace, la Telecom ancora non è passata dalla residenza di Giuseppe per le verifiche del caso. Non sono mancate le giustificazioni. “Che vuole avvocato siamo al fine settimana, oggi è sabato e domani è domenica - spiegava un maresciallo dei carabinieri al legale - Poi la Telecom è un soggetto privato a cui lo Stato ha appaltato il servizio. Il tecnico sarà a casa o fuori Roma con la famiglia. Necessita portare pazienza”.

Il “braccialetto elettronico” è entrato in uso a febbraio con il decreto legge detto “svuota carceri”. Il provvedimento prevede anche una riduzione controllata dei detenuti, grazie a una serie di misure come l’ampliamento dell’affidamento in prova e gli sconti di pena per i detenuti più meritevoli. “Più meritevole del mio assistito? - si domanda l’avvocato Randazzo - ha una famiglia e lavora. La sua vita ora è rovinata, per via di questa mostruosa carcerazione preventiva ha perso anche l’impiego. Eppure nel decreto si sostiene che gli strumenti elettronici di controllo saranno la regola, non più l’eccezione. Nel disporre i domiciliari, il giudice prima lo doveva prescrivere solo se necessari; ora è tenuto a prescriverli sempre, a meno che su casi concreti non ne escluda la necessità. Infatti un magistrato mi ha dato ragione, aggiungendo che le colpe sono tutte della Telecom”.

Ma sul servizio appaltato a Telecom è polemica da mesi, sarebbero già partiti i primi esposti alla Corte dei Conti per l’evidente spreco: ad oggi ne sarebbero in uso scarsi 120, ma lo Stato ne paga a Telecom circa 2500: il costo di ogni singolo braccialetto sfiora i 60mila euro. “La convenzione sui dispositivi elettronici per la detenzione domiciliare ci costa fino a 9 milioni 83mila euro, di cui 2,4 milioni per il solo costo di 2mila braccialetti e 3 milioni e 160 per l’organizzazione”, queste furono le parole del capo della polizia, Alessandro Pansa, nel corso dell’audizione in Commissione Giustizia della Camera dello scorso 15 gennaio: Pansa interveniva in merito al decreto Cancellieri sulle carceri. Evidentemente Pansa già sapeva che erano stati presentati esposti e denunce sul servizio fornito da Telecom. Infatti ammetteva che “la convenzione con Telecom è stata dichiarata illegittima. Abbiamo sbagliato e l’amministrazione si assume le sue responsabilità”, precisava Pansa.

Ma se da un lato è illegittima, dall’altro (contrattualmente) la convenzione con la Telecom scade il 31 dicembre del 2018. Oltre alle indagini delle procure italiane per danno erariale, sul contratto stipulato con Telecom pende il giudizio della Corte di Giustizia europea. Tutto a seguito di un ricorso sulla sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato “illegittimo l’accordo rinnovato nel 2011”. Alcuni addetti ai lavori vanno per le spicce: “È facile venga preso un provvedimento lampo sull’illegittimità contrattuale con Telecom, uno di quei provvedimenti atti al contenimento della spesa; è facile si debbano immediatamente riportare in cella tutti i detenuti momentaneamente ai domiciliari con braccialetto elettronico: almeno fino a che non si sarà perfezionato il nuovo contratto che permetterà allo Stato di dimezzare i costi del servizio”.

“Oggi sul mercato è chiaro che troveremo cose che costano molto di meno e troveremo di meglio - dice Pansa in audizione - Questa è una tecnologia un po’ datata e il costo è enorme”. Di fatto il contratto con Telecom è operativo da più di dieci anni, ma la magistratura non si fiderebbe di questa tecnologia. Le uniche città dove l’uso si è dimostrato positivo sono Milano e Torino: altrove costi e metodiche d’attivazione sono risultate farraginose e con subentro di costi accessori per Telecom. Di fatto l’alleggerimento delle carceri rimane una chimera, difficile quanto e più del calo delle tasse o dell’abbassamento della disoccupazione. Per Telecom gli ultimi dieci anni di braccialetto equivalgono a pura sperimentazione, lautamente pagata dallo Stato.

Non dimentichiamo che fu un parere dell’Avvocatura dello Stato a permettere al ministro dell’Interno di firmare l’accordo con Telecom del 6 novembre 2003: l’azienda telefonica è di fatto l’unico referente dello Stato, il suo fornitore diretto di braccialetti e, soprattutto, non chiarisce dove inizia la fornitura e dove finisce la sperimentazione. Il braccialetto elettronico manda impulsi radio alla ricevente installata nell’abitazione del detenuto e, tramite linea telefonica, inoltra il segnale alla centrale operativa Telecom. Con questo giochetto la Telecom ha incamerato 130 milioni di euro dal 2001 al 2014. Spiace dover considerare che il povero Giuseppe è una delle tante cavie nel mastodontico ingranaggio del contratto Telecom-Stato italiano. Uno dei tanti detenuti che potrebbe tornare in carcere, e solo se al Renzi di turno prudesse dover dare a bere all’elettorato che è stato stroncato lo spreco dei braccialetti (il famoso taglio longitudinale sui costi della giustizia). “Avvocato - chiosava il maresciallo a Randazzo - c’è tutto un iter burocratico da rispettare, non è semplice mettere il braccialetto”.

È storia che si ripete, roba da “Detenuto in attesa di giudizio”, per dirla alla Nanni Loy. Non mancano i commenti salaci dei secondini, “che palle sti’ braccialetti… ma riaprissero i bagni nelle isole, così se famo un po’ de mare”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17