
Volendo replicare, da un molto più modesto pulpito, all’elegia sull’Europa che il bravo e acuto Severgnini ha tracciato sulle pagine del Corriere della Sera, ci permettiamo di aggiungere alcune considerazioni. Non si tratta di essere “euro-entusiasti” oppure “euroscettici”, ma più semplicemente “euro-realisti” e cercando di esserlo nel modo migliore sgorga spontanea una serie di domande. Che l’Europa dei popoli, uniti e solidali, liberi e giusti, complici e fratelli, sia un pensiero alto, nobile, appassionato è fuori di dubbio. Altrettanto fuori di dubbio è il fatto che l’insegnamento dei padri illuminati dell’Europa debba rappresentare per tutti un grande faro verso cui puntare, per approdare in un comodo e sicuro porto.
Qui nasce la prima domanda, allo stato delle cose, questo porto è oggi così comodo e sicuro per tutti? O almeno, lo è per noi? I presupposti che portarono alla nascita del trattato d’Europa li conosciamo, vengono dall’unione delle due Germanie, dal cambio marco ovest marco est 1:1, dall’impostazione di una Bce sul modello Bundesbank, con l’aggravante di non essere banca di ultima istanza. Vengono, sempre i presupposti, da un sottile retro pensiero della Germania, di fare dell’euro una sorta di nuovo marco, sostenuto dalla indispensabilità di un asse franco- tedesco, consolidato per necessità, più che per virtù. Da qui l’imposizione originaria, dei concambi fra monete, che per noi fu l’inizio dei problemi. Troppo per l’Italia della Lira, per le nostre esportazioni, per i nostri conti, troppo per compensare il vantaggio, pur grande, di un abbattimento del saggio d’interesse, che specialmente per l’onore al servizio del debito ci offriva forti miglioramenti.
Allora la situazione del nostro Paese era già complicata, certo non per colpa dell’Europa , ma di una politica che da decenni sperperava, dissipava, talvolta rubava e comunque sprecava, in modo folle, risorse e denaro pubblico. Dunque non riuscire, già da allora, ad imporre condizioni favorevoli alla nostra realtà, fu un errore grossolano. Certo che da subito avremmo dovuto fare i compiti a casa, certo che avremmo dovuto avviare quelle riforme che ancora oggi latitano, certo che avremmo dovuto cambiare la testa ad una classe politica che ci ha condannati alla disgrazia; ma è altrettanto certo che, nella vita, l’eccesso di ottimismo ed euforia porta spesso a tristi conseguenze.
Dunque, peccati originali vi furono e oggi ce ne accorgiamo. Come se non bastasse, nel corso degli ultimi 10/15 anni, mentre la situazione nostra non migliorava, abbiamo continuato ad accettare supinamente una serie di vincoli e di restrizioni che difficilmente potevamo sopportare e che passo dopo passo stringevano di più la corda intorno al collo. Sfortunatamente, all’incapacità della classe dirigente si sono aggiunti i mercati, che con la loro criminale voracità, nel periodo 2006/2007 a partire dall’America e non solo, ne hanno combinate di tutte e di più. Negligenza politica, finanza virtuale, speculazione, crisi internazionale, soprattutto un modello Europeo imperfetto, una Bce zoppa e la frittata è fatta.
Oggi, con l’accettazione degli ultimi vincoli del patto di stabilità (perché di crescita è meglio non parlare) siamo ridotti allo stremo con margini di manovra limitatissimi e con un Paese esasperato. Allora, arriva la domanda delle domande, cosa potrebbe fare o pensare la gente che non ce la fa più, che vive nella disperazione del quotidiano, ossessionata dalle tasse e dalla disoccupazione, come potrebbe pronunciarsi vedendo un’Europa inflessibile, sempre più dura e sorda ad ogni richiesta di alleggerimento? Cosa può immaginare un consesso, stremato dalla crisi e dai vincoli, dai debiti, vedendo i sorrisi della paffuta Merkel, mentre insieme alla sua corte nega ogni disponibilità a ritrattare? La gente, forse, dovrebbe ripensare ai padri fondatori dell’Europa? Ai nobili principii di un’unità geografica e solidale? Al concetto di un continente fratello e sorella? Oppure al guaio in cui si trova ed alla urgenza di cambiare per non morire? La risposta è conseguente: cambiare per vivere, cambiare i patti, cambiare i vincoli, cambiare molto e subito e se non è possibile o non è dato di cambiare, meglio la vita e la libertà che un’Europa che stritola e soffoca.
Ecco perché in Francia, da noi e in larga parte del resto, va crescendo e alzandosi un grido di protesta che non è contro l’Europa, ma contro questa Europa. Bisogna ascoltarlo questo grido, ascoltarlo piuttosto che criticarlo o peggio dileggiarlo. Non farlo rappresenterebbe un errore fatale e, dopo quelli già fatti, francamente sarebbe davvero troppo. Del resto per tornare al bravo Severgnini, la passione è la passione! E non sempre, caro Beppe, può essere quella che vorremmo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18