
Una certa ipocrisia tutta nostrana non muore mai. Ci si è risentiti per i sorrisetti ironici nei riguardi di Renzi; peccato che quando la stessa cosa accadde per Berlusconi, la reazione fu molto diversa. Ma tant’è, del resto ognuno si porta dietro qualche peccato originale e noi non manchiamo alla regola.
Il problema, piuttosto, non può essere rappresentato dalle risatine sgradevoli e inopportune, ma dalla scarsa considerazione che in Europa (particolarmente in Germania) hanno di noi. Non è ammissibile che questo accada, non solo perché le ragioni di un consesso devono fondarsi sul reciproco rispetto e sulla pari dignità, ma soprattutto perché non si capisce chi è e perché abbia delegato alla Germania e alla sua corte il primato di autorevolezza morale e politica. Non è così, non è stato così, non deve essere così. La Germania, alla quale ovviamente riconosciamo l’importanza di molti risultati, non può dimenticare l’immensità morale ed economica dei guai che nel corso della sua storia ha creato, in particolare all’Europa. E se memoria deve esserci, come tutti ci sgoliamo a dire, che ci sia per tutto e per tutti.
Quindi, non dimentichiamo, soprattutto la Germania non dimentichi, che se all’inizio degli anni Cinquanta la comprensione e la benevolenza delle nazioni europee non l’avessero liberata da pesi, debiti e obblighi derivanti dalla catastrofe della guerra, che essa stessa aveva drammaticamente ingenerato, di altra storia tedesca ci ritroveremo a parlare. Dunque, nessuno è superiore a nessuno e le ragioni di un’Europa unita non possono essere legate solo ed esclusivamente a numeri, cifre, parametri e bilanci, perché, allora, parleremo di un’azienda e non di una comunità di popoli con storie, culture e tradizioni.
Detto questo, regole devono esserci e ovviamente devono valere per tutti, soprattutto per il nostro Paese che certamente di sbagli (e gravi) ne ha commessi tanti. È giusto, quindi, che l’Italia si faccia carico di correggerli in fretta. I cosiddetti compiti a casa devono rappresentare un obbligo verso noi stessi prima di tutto. Molto più che verso l’Europa e la Germania. Comunque sia, il nostro Paese deve rimettersi in marcia trovando forza e ragioni per cambiare radicalmente un certo modo di fare politica e soprattutto di essere “Stato”. La concezione, infatti, dell’essere “Stato” e dell’essere “pubblico”, sostenuta da una classe politica che per decenni ha così pensato, è la testimonianza della catastrofe sociale ed economica nella quale ci ritroviamo. Cambiare deve essere la nostra parola d’ordine, che piaccia o no, perché senza cambiamento non c’è futuro.
Non sappiamo se sarà Renzi ad essere in grado di farlo, vero è che il giovane Premier, con le sue esagerazioni caratteriali e comportamentali, non aiuta alla fiducia; ciononostante ci auguriamo riesca nel suo intento. Detto questo, se l’Italia deve cambiare, anche l’Europa deve farlo e lo deve per realismo, per giustizia, per buon senso sociale ed economico. Oggi, se i conti non tornano e non funzionano, è anche perché i patti non tornano e non funzionano. E non solo per noi quei patti e quei vincoli vanno riscritti, aggiornati e adattati alle nuove realtà.
Nel trattato europeo non c’è scritto: fino a che morte non ci separi. La vita e la morte stanno solo nelle mani di Dio e se permettete di fronte a Lui anche l’Europa diventa piccola.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06