
Abbattuta sotto i colpi di fredde accoglienze, di invendicati insulti, di traballanti diritti, di irragionevoli opinioni, di falsi appelli al bene comune.
Patetici cialtroni ci ricordano il valore del nostro inestimabile patrimonio artistico, possibile fonte di ricchezza per tutti gli italiani, delizia delle genti di altri Paesi pronti a visitare il centro del sapere, a leggere i codici della nostra storia, dell’arte dei nostri avi che hanno conquistato l’universo umano. Stracci e odori puzzolenti ornano le vestigia di antichi monumenti, di chiese millenarie, di reperti che ricordano gli onori e le imprese dei nostri celebri padri. Uomini e donne senza dignità, protetti dall’ipocrita salvacondotto della povertà usano gli antichi marmi ricchi di un passato fausto come latrine, per offendere la vista con giacigli di carta putrida e orrende abluzioni del corpo.
Un finto spirito di accoglienza, un vigliacco sentimento di pietà ferisce i luoghi sacri di Roma, la sua storia universale la sua impareggiabile testimonianza dei padri che segnarono le sorti dell’intera umanità. Nessuno si indigna, alza la voce, protesta, piange nell’angolo. Un’opaca, colpevole indifferenza favorisce la morte di Roma ed a nulla valgono i sacrifici di Cesare e degli altri. Con la schiena piegata dalle colpe ideologiche, dalle scelte di amministratori corrotti ed inetti, i romani non hanno neppure le lacrime per piangere la morte di Roma. Subiscono supinamente l’invasione dei nuovi barbari, che conquistano il territorio protetto di Roma, derogando dalla legge della storia, invadendo la religiosità dei luoghi, umiliando le conquista della grande Roma padrona del mondo.
Non una voce, una protesta, un’indignazione. Un silenzio doloso e nefasto permette questo delitto infinito, quasi voluto, ignorando tutte le perniciose conseguenze che la muta accoglienza decreta la morte di Roma. Ormai siamo stranieri nei nostri palazzi, lungo le nostre strade, dentro i cortili dei condomini, sui sagrati delle nostre chiese, all’ombra dei nostri monumenti. Siamo stranieri per aver accolto degli stranieri privi del lignaggio che ci appartiene come romani. Roma occupata dalla miseria e dalle mafie di tutto il mondo si piega al volere di una incerta solidarietà, che offende chi ha bisogno di aiuto e chi lo offre. Diritti, doveri, responsabilità, tutto prescritto; vige la legge della giungla, dell’occupazione abusiva, della regola della prepotenza, dell’offesa alla bellezza. Ai fasti costruiti nel tempo, all’arte, al sublime viene sostituito l’affronto di incerti diritti di accoglienza e solidarietà che pesano sui meno protetti, sui romani diventati poveri anche della loro storia e dei loro monumenti.
Un senso di distanza che tanti nutrono nei confronti della loro amata città, una distanza che nasce dall’ambiguità di malcerti diritti di ospitalità, dalla molteplicità di tanti significati, dalla molteplicità di tutte le eccezioni morali ed economiche. Tutti fenomeni e temi di difficile assimilazione. Aspetti, soluzioni di problemi ben noti che verosimilmente non possono piacere né agli amici del popolo, né ai suoi nemici. Dà fastidio tanto a chi arringa le masse quanto a chi le disprezza. A coloro che riconoscono l’insegnamento della storia ed a coloro che questo insegnamento negano. I diritti di tutti sono i diritti di nessuno. Vincono i prepotenti. Non avere nulla da perdere diventa un vantaggio. Personaggi impresentabili guidano la città e fanno incetta di errori su errori, consegnando Roma al degrado.
Le ragioni di alcuni penalizzano quelle di altri, abiurare al comando, alla guida delle genti, fa regredire il faticoso cammino della democrazia, invita a tornare alla legge del taglione, privilegia l’agire del più forte, anche di quelli che si avvalgono della loro indigenza. La tolleranza difetta nelle sue applicazioni, l’amore per l’altro si trasforma in legittima vendetta di fronte all’incapacità di governare gli eventi. Roma muore.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17