
Renzi spara palle. Vuole far credere che riuscirà a dare da bere a tutti gli assetati con la schiuma della gassosa. Per di più non ci racconta nemmeno con quali soldi comprerà l’unica gassosa disponibile. Fatto sta che, quando la schiuma finirà, verrà fuori il bicchiere semivuoto e ci si sforzerà di farlo sembrare semipieno.
È questo il senso delle balle raccontate dal Premier italiano alla signora Angela Merkel, come se regalare una maglietta della Fiorentina o raccontare il diario dei sogni con piglio degno del miglior Mendella (noto televenditore e bancarottiere) potesse confondere la Cancelliera. Confusione che puntualmente non è arrivata. Tanto che la signora Merkel, pur mostrandosi impressionata dalla portata delle riforme (e che poteva dire se non usare la formula di rito), si è dichiarata certa che esse saranno realizzate nel rispetto di tutti i parametri europei… Come a dire: Matteo stai sereno, fai tutto ciò che vuoi ma il 3% non si sfora ed il Fiscal Compact te lo sorbisci tutto senza sconti. Ma venendo alla sostanza, in cosa consiste il piano Renzi? Si tratta forse di provvedimenti sbagliati?
Diciamo subito che i provvedimenti annunciati dal Premier, al netto delle opinioni divergenti degli esperti e se realizzati, costituiscono una base di partenza che è meglio avere che non avere ma, tra annunciare riforme epocali su Twitter ed attuarle, ci sono una serie di ostacoli di tipo tecnico (le coperture), di tipo politico (le resistenze parlamentari), di tipo costituzionale (le riforme costituzionali hanno i loro tempi) e di tipo sovranazionale (qualcuno ci spieghi come si possa conciliare un aumento della spesa con l’imminente Fiscal Compact).
È qui la differenza fondamentale tra essere veloci ed apparire veloci, tra raccontare le cose con delle belle slides (o con efficacia comunicativa) e farle. Se uno mi promette cento giorni di lotta dura alla Pubblica Amministrazione, al fisco, alla malagiustizia, alla corruzione, al dissesto idrogeologico (un miliardo e mezzo di euro), alla fatiscenza degli edifici scolastici (3,5 miliardi), all’emergenza casa (1,7 miliardi), io non posso che gioire. Quando aggiunge lo sblocco immediato dei debiti della P.A. (68 miliardi), un fondo di garanzia del credito, lo sblocco dei fondi europei (3 miliardi), la creazione di un fondo per le imprese sociali (500 milioni di euro), un aumento dei crediti d’imposta per i giovani ricercatori (600 milioni) e una riduzione del costo dell’energia per le Pmi (1,4 miliardi), io quasi mi commuovo.
Se poi rincara la dose con una nuova legge elettorale, l’abolizione delle province, l’abolizione del Cnel e l’abolizione del Senato non posso che rimanere piacevolmente spaesato. Quando poi afferma di piazzare ben 10 miliardi per dare circa ottanta euro al mese a chi guadagna meno di mille euro (solo i dipendenti, come se pensionati e partite Iva non esistessero) avviando una riforma totale dei meccanismi in tema di lavoro ed ammortizzatori sociali, beh, comincio a sentire puzza di bruciato per non dire altro. Costui vorrebbe fare le riforme costituzionali chiedendo ad una maggioranza rabberciata e divisa di autoeliminarsi a tutti i livelli (parlamentare, locale e burocratico)? E vorrebbe fare anche innovazioni costosissime in costanza di vincoli europei e per giunta con il Fiscal Compact alle porte (il patto di bilancio tra gli stati Ue), che ci costerà circa 50 miliardi all’anno dal 2014?
Ma andiamo, com’è possibile tutto ciò se il Governo non riesce neanche ad indicare con certezza le coperture limitandosi a dire che esse ci sono, manco fossimo di fronte a Cetto La Qualunque (il noto personaggio di Antonio Albanese). E, possibile che con tante belle slides preparate con encomiabile zelo, con i pupazzetti ed i coloretti, non si sia trovato un angolino per illustrare le fonti di finanziamento? Berlusconi, scoperta l’esistenza delle slides, si sarà veramente indignato con i suoi per il fatto di non avergliele mai preparate. Esse sono lo strumento prediletto dai “venditori” che, negli uffici e nelle società di consulenza (e ora anche in politica), si prodigano in riunioni cercando di supplire con il layout alla carenza di contenuti perché, come noto, le riunioni sono la miglior alternativa al lavoro e la fuffa va infiocchettata. Arguito che forse le stavano sparando troppo grosse, qualche balbettio informale sulle coperture comincia a venir fuori e forse sarebbe stato quasi meglio soprassedere. Una prima ipotesi riguarda il calo dello spread e la relativa riduzione degli interessi, tema su cui è complicato azzardare previsioni così come impossibile risulta puntare sul gettito Iva atteso a valle del pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione.
Il pagamento dei debiti pubblici procede a rilento per cui è impossibile ipotizzare i flussi Iva nelle casse dello Stato sia in termini quantitativi sia in termini temporali, quindi stiamo parlando di aria fritta. Altra copertura non certa risiede nei risparmi ottenibili con la spending review (forse 51 miliardi in tre anni), fonte indeterminata per una serie di motivi: essa non è ancora iniziata, rispetto al totale delle misure realizzabili non è dato sapere quali saranno effettivamente realizzate, non è ipotizzabile l’arco temporale in cui i risparmi verranno effettivamente realizzati visto che la procedura è lontana dalla fase esecutiva. Poche parole merita l’asta delle auto blu sia perché parliamo di poca roba sia perché non è possibile ipotizzare di risolvere alcunché con il metodo del “venghino siori venghino”.
Ma veniamo alla fonte delle fonti di finanziamento: dare per assunto che il rapporto deficit/Pil sia al 2,6% e ipotizzare di spendere a debito 6 miliardi così da arrivare al limite del 3%. Non ci pare una mossa intelligente, perché fare debiti per 6 miliardi significa che poi ci dovrai pagare gli interessi sul debito. Inoltre, il rapporto deficit/Pil è una frazione e come tale implica che il numeratore e il denominatore siano correttamente stimati. Cosa accadrebbe, ad esempio, se ci accorgessimo, come spesso accade, che il Pil cresce al di sotto delle previsioni e che quindi va rivisto al ribasso? Ci troveremmo a dover fare la cronaca di uno sforamento madornale. Storia a parte merita la tassazione delle rendite finanziarie o il prelievo straordinario sulle pensioni d’oro: tali provvedimenti puzzano a tratti di patrimoniale ed a tratti di redistribuzione delle risorse, non certo di reperimento di denaro fresco da investire in ripresa. Dovremmo anche metterci d’accordo su cosa significhi il termine pensione d’oro e su quali siano le rendite finanziarie da tassare senza penalizzare la vocazione al risparmio della gente comune.
Intanto, se da un lato le promesse di mancette ai cittadini si fanno sempre più insistenti, di certo c’è il solito gioco delle tre carte con aumenti di accise, addizionali regionali e comunali e riallocazione degli immobili in classi catastali che raddoppieranno le imposte gravanti sulle case dei maggiori centri urbani, rendendo i benefici elargiti ai cittadini pari (se non minori) agli aumenti. Con ciò siamo sicuri che gli ormai famosi ottanta euro netti in busta paga arriveranno. Ma a che prezzo e con quali metodi? Con tutta probabilità saranno autofinanziati dai cittadini con la vecchia (ma sempre efficace) fregatura dei vasi comunicanti, quelli che con una mano dai e con l’altra togli. Dopo Letta quindi, il Premier dalle palle d’acciaio, non vorremmo dover assistere a Renzi, il premier spara palle.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:14