
Il Machiavelli rosa pensava di aver soddisfatto gli appetiti femminili con le 8 ministre. Tanto più che erano tutte esordienti tranne Beatrice, che si è salvata, pur non essendo fiorentina grazie al nome d’evocazione dantesca.
Anche i più avvertiti e scafati dei funzionari fanno fatica a ricordare i nomi delle altre, la romana di partito Mogherini agli Esteri, la montiana Giannini all’Istruzione, la genovese e liceale (insegnante) Pinotti alla Difesa, l’emiliana confindustriale in motorino (Ducati) Guidi all’Economia, la civatiana Lanzetta, già sindachessa e pure antimafia, alle Regioni. Qualcuna delle ministre sta trovando una sua notorietà, dalla toscana di provincia Boschi (Riforme), giaguara dal tacco leopardato, alla velina veltroniana Madia (PA). Idem per le sottosegretarie alla Cultura: Francesca Barracciu, cassata alle elezioni sarde ma buona per il Governo, e la mitica milanese Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua (coniugata Buitoni).
Per il resto, bisogna portarsi dietro il bignamino per ricordare che la livornese di provincia Velo (cuperliana) e la padovana Degani (Ncd) sono sottosegretarie all’Ambiente, la palermitana Vicari (Ncd) lo è all’Economia, la burina Amici lo è alle Riforme, la novarese di provincia Biondelli, la leccese Bellanova e la barese D’Onghia (para-Udc) lo sono al Lavoro. Senza avvedersi di questo grigiore, parecchie hanno storto la bocca, facendo notare che in una squadra di Governo più numerosa di quello precedente, sia ben striminzito il numero di sole 9 presenze rosa sui 35 sottosegretari, senza neanche una viceministra sui 9 nominati. Tanto più che sugli otto ministeri affidati all’altra metà del cielo, ben tre sono senza portafoglio.
Il Machiavelli rosa pensava di aver soddisfatto le colleghe e, indispettito dalle proteste, avrà confidato ai più intimi di considerarle mai contente. In realtà, una volta fissato il principio del 50% di presenza femminile, per le regole interne di partito, poi ribadito come regola per la formazione del Governo, lo schema non poteva non allargarsi al manifesto mondo. Così anche i 44 viceministri e sottosegretari avrebbero dovuto essere divisi a metà, tra 22 uomini e 22 donne. Ed ugualmente si doveva uniformare la riforma elettorale, tanto più che i democratici hanno sempre considerato un dovere far applicare le regole inventate per se stessi. Ormai la geniessa è uscita dalla lampada. Il principio del 50%, o meglio dell’esatta proporzionalità tra uomo e donna, presta il fianco ad altre proporzionalità calibrate al numero. Per esempio, proporzione esatta tra ricche e ricchi, povere e poveri, disoccupate e disoccupati, invalide e invalidi, marinaie e marinai, direttrici e direttori di biblioteca, professoresse e professori, studentesse e studenti, pensionate e pensionati. Il gioco proporzionale può proseguire nella divisione del potere e del denaro, come della disgrazia e della miseria tra giovani e vecchi, abitanti dei piccoli comuni e delle metropoli, sposati e single. La proporzionalità è predestinazione, attiva all’occidentale o passiva all’orientale.
Meraviglia questo appello al caso di tutte queste donne che molto devono della loro ascesa, accanto sicuramente al merito, del supporto di gruppo, di comunità e di famiglia, nuova o acquisita. Per tagliare la testa al toro, la Grecia salonica fece proprio così. Si affidò alla tombola delle boulé, che è poi il modello grillino. Anonimato per anonimato, si abbatterebbero anche i costi delle campagne elettorali e delle silhouette elettriche o shocking.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:09