
I rifiuti sono simbolo di un’umanità sprecona, egoista, malata di usa e getta, che in fondo sta troppo bene. Un tempo venivano abbandonati alla sorte quando era normale gettarli dalla finestra sul malcapitato passante. Da sempre tenuti nascosti in famiglia, come le malattie o le pulsioni sessuali, vennero scoperti e portati liberamente in strada, sotto gli occhi di tutti, solo pochi decenni fa, negli anni Settanta quando se ne volle ammettere l’esistenza. Il posizionamento dei cassonetti anche nelle strade più altolocate suscitò grandi proteste, per una sorta di violazione del comune senso del pudore e dell’olfatto.
Oggi il cassonetto è una delle eccellenze dell’industria italiana, che li esporta dovunque come i più leggeri e pratici al mondo. Allora protestarono dignitosi borghesi ma anche i portieri degli stabili vip che sul ritiro alla porta basavano parte dei loro redditi. La destra, all’epoca, cercò di cavalcare la contraria opinione pubblica. La sinistra che ha voluto dedicarsi alle situazioni peggiori, alle disgrazie, alle situazioni più infime, inizialmente vacillò, tentennò, si appellò al commercio equo e sostenibile che nei fatti si traduceva in negozietti dell’usato ed in bancarelle di merci fatte a mano da popoli andini, distribuite da immigrati sudamericani. Infine arretrò del tutto e dichiarò il rifiuto, soggetto ostile, colluso a mafie e criminalità, sicuramente vicino alla parte politica avversa.
Da allora i rifiuti, in fondo, parte naturale della vita nell’ammassamento urbano, sono divenuti oggetto, simbolo, mezzo e fine di una condanna prima etica, solo virtuale, poi togata e fin troppo reale. Il rifiuto, di per sé colpevole e infernale, per redimersi, deve passare nei cerchi dei classici gironi danteschi, prima nel limbo della Riduzione (di rifiuti all’origine), poi nel purgatorio del Riuso (per diminuire i bisogni), per approdare infine allo stato paradisiaco del non rifiuto, cioè del Riciclaggio (delle materie prime scartate) in merce. Nell’epoca laica in cui viviamo, non si poteva non andare oltre l’aureola. Così il punto di arrivo si è spostato più avanti verso un approdo ancora più immorale dell’oggetto stesso del tema. Il rifiuto si è fatto Risarcimento (per il danno prodotto alla salute ed all’ambiente, o meglio miraggio e speranza di). Ricerche di vari enti e istituti hanno inoculato il dubbio che passaggio, lavorazione, sepoltura e cremazione del rifiuto siano destinati nei decenni, o magari nei secoli, a esalare veleni, a intossicare acque, aria e terra, a determinare il riscontro di malattie a tappeto. La nascita di agenzie ad hoc, impegnate a dimostrare le cause stesse della loro fondazione, hanno appurato che certi decessi a 60, 70, 80, 90, con altre diete ed altre protezioni ambientali avrebbero potuto essere evitati per approdare al centesimus annus. È così partita una gigantesca caccia ai responsabili storici che, nei decenni precedenti, non avevano preso le necessarie contromisure contro la diffusione di amianti, di metalli e rifiuti sotterrati, per difendere la salute soprattutto dei più piccoli, anche se all’epoca dei fatti non erano neppure nati i padri dei futuri malatini.
Per non farsi mancare niente, è poi uscito alla ribalta un pentito che ha tracciato una vaga mappa dei cunicoli delle catacombe tossiche costruite negli anni dalla camorra, con il risultato di spaventare a morte tutti gli appassionati di pizza nostrani e stranieri, convinti di essersi fatti avvelenare dalle famose bufale campane. L’immagine della camorra non ne ha sofferto però. Essa è apparsa la solita piovra dalle mille capacità, impegnata nello stesso tempo a portare il medesimo rifiuto ora al Nord ora all’estero, ora a bruciarlo, ora a sotterrarlo, ora a imbarcarlo per l’Africa, in una sorta di moltiplicazione di pani e rifiuti. Moltiplicazione tanto più miracolosa quanto improbabile, tutta affidata alla spazzatura casalinga, vista la bassa concentrazione industriale meridionale. In altri tempi la sinistra avrebbe preteso un’indagine parlamentare, una nuova Commissione Stragi, intitolata ai Rifiuti, ma lasciò perdere perché erano coinvolti i suoi uomini, le sue donne i suoi commissari.
Quartieri, città, province e regioni, non per questo, hanno smesso di sperare. Dove c’è rifiuto, c’è veleno, dunque malattia. Dove c’è malattia, è noto, c’è un untore che deve pagare e risarcire. Se non lui, i poteri pubblici colpevoli, omissivi e complici. Menti semplici e alto giurisprudenziali si sono fatte conquistare dal sospetto di una convergenza criminale, tra chi produce il rifiuto e chi lo posa per diffondere la peste. Tanto più che è in corso il più terribile tra i disastri naturali: la fine (o riduzione) delle assunzioni pubbliche di massa. Comitati privatistici ed enti locali istituzionali quasi d’istinto, si sono uniti contro i rifiuti archeologici e per il conseguente lotto di massa risarcitorio. La giustizia si è sussurrata che anche nei migliori film il controllo sistematico della spazzatura conduce ai segreti più inconfessabili degli evasori che abusano del diritto alla privacy.
I manifestanti di professione, avendo perso tutti i nemici naturali nel tempo, inclusi i socialisti, hanno ritrovato il nemico infame, che inquina, ammala e si esime dalla responsabilità sociale. La giusta posizione politica sembrava dunque la raccolta differenziata. Era il sogno di tante immondizie divise, in tanti sacchetti diversi, colorati per provenienza e per destinazione, magari accompagnati da schede precise su origine, uso, peso. Poi in contropiede attorno ai cassonetti, sono venuti ad accalcarsi innumerevoli poverissimi in cerca di mezzi di sostentamento. Qualcuno li avrebbe voluti omologare a chi brucia i cassonetti o rimuove da sé i rifiuti più ingombranti.
La nuova lotta di classe, recuperata nella buona novella della raccolta differenziata, ha impedito di muovere contro vergognosi anziani attenti, nelle loro ricerche, a non sporcare la strada. Piano piano, attorno ai cassonetti si è mossa poi un’orda di lupi, solo a Roma 3mila raccoglitori organizzati (15 milioni nel mondo), attrezzati di carrelli per frugare in giri prestabiliti, rifiuti urbani, infrastrutturali e industriali. Equivalente degli sciacalli che spogliavano i cadaveri dei soldati, “l’esercito fruga cassonetto” preleva 10 milioni di euro l’anno in abiti, metalli, bottoni, rame e acciaio, lasciandosi dietro un manto unto di nettezza compattata, più che a mano, a piede. Un esercito stabile, numeroso come quelli che occupano le case; legato alla lunga catena del valore di centinaia di rigattieri, rivenditori, negozi dell’usato, che sfrutta l’ideologia salvifica della raccolta differenziata fatta casa per casa, inventata in due Paesi ricolmi di rifiuti per strada come India e Brasile.
Anche a sinistra qualcuno ha chiesto di intervenire su questo scempio, che sputa sulla perduta dignità del corpo denudato e sfatto delle nostre vecchie città. Per norma, ciò che viene gettato è pubblico, cioè del Comune, che non dovrebbe disinteressarsene dato che, secondo una ricerca del 2006, nei cassonetti di Roma ci sono beni per 33 milioni. Qualcun altro ha paventato l’aumento dei furti in caso di proibizioni ai frugatori. Altri hanno visto nel popolo dei cassonetti una risorsa per l’Ama, tanto da assegnare loro nel 2005 speciali isole ecologiche; un’idea mai attuata né cassata. Altri, scartabellando negli annuari hanno trovato il precedente: i ruée milanesi che vivevano della “prima cernita” ed i guardiani dei porci che avevano il permesso di rovistaggio in discarica. La proibizione del rovistaggio avanzata nel luglio 2008 fallì per le proteste della comunità di Sant’Egidio e la timidezza della Giunta Alemanno. Fino al 2010, i raccoglitori informali, grazie all’Opera Nomadi, commerciavano a Porta Portese.
Veneziani ha raccolto la vox populi sul rapporto tra zingari e cassonetti. Dice: “La destra governa perché la gente considera zingari e immigrati due capitoli dell’emergenza rifiuti”. Oppure: “Da quando c’è la destra al governo, zingari e immigrati sono capitoli dell’emergenza rifiuti”. I rovistatori, in genere Rom e stranieri, sono aumentati a dismisura, ad onta del bene comune e della raccolta differenziata, andando con i rottamatori a infoltire all’ombra dei cumuli dei rifiuti un sottobosco camorristico. Al loro fianco, ad anni luce concettuali, il cassonetto con “chip” elettronico di identificativo, per misurare rifiuti e tasse relative. Venne annunciato nel 1999, Governo Prodi, ma solo dopo tre lustri è stato abbandonato il calcolo basato sui metri quadrati dell’abitazione e sul numero dei familiari, sostituito per ora da misure presuntive in attesa dei sacchi prepagati e dei chip. C’è un’Italia che vive già in questo paradiso di Scelta Civica, in via di scioglimento, ha invocato l’idea rivoluzionaria di misurare la reale quantità dei rifiuti di ciascuno, come in Svizzera.
In Umbria, piena di uffici pubblici e vuota di imprese (a parte quelle religiose) ci sono 30mila cassonetti intelligenti della Gest. Il chip fa pagare per il numero di aperture dei cassonetti dell’indifferenziata e l’utenza per risparmiare si tiene l’immondizia a casa finché il bidone non è colmo. Riduzione, riuso, riciclaggio, risarcimento, raccoglitori, risparmio, e ovviamente, responsabilità sociale. Un rosario che esclude il ciclo industriale che i rifiuti li brucia o li invia alle produzioni industriali. È vero che le industrie, per usarle, bisogna averle nel territorio e che non si creano con i rifiuti, gli inceneritori invece se li possono fare tutti. C’è una difficoltà etnofisiologica, però; una diffidenza ancestrale verso la catena del valore dei rifiuti, la best practice economica degli inceneritori, quella dove finivano i rifiuti di Bassolino ed oggi quelli di Marino.
Alla fine i gestori trentennali delle discariche, appena chiuse, e dei futuri inceneritori sono stati arrestati malgrado la reverenda età. Non è chiaro il motivo preciso. È indubbia la colpa morale però. Hanno gestito il business dei rifiuti, che da qualunque parte li vedi, sono diabolici. Diabolici nel nord del mondo che vive di nucleare ed estrae energia nei rifiuti. Diabolici nel sud del mondo dove i più disperati, nelle periferie, nelle campagne, nei campi nomadi bruciano il cumulo in una sorta di inceneritore fai-da- te. L’istinto si comporta come la migliore tecnologia. In mezzo, animati da sacro fuoco, massaie, negozianti, studenti, separano le tracce della loro esistenza. Lo sanno che sono destinate alla fossa comune. Non vogliono ammetterlo. Piuttosto in galera, tutti in galera e che se ne facciano una ragione. Le tipografie dell’Umbria e del Trentino si sono salvate dalla crisi grazie alla distribuzione casa per casa, ufficio per ufficio, di pieghevoli sul valore economico della raccolta differenziata di qualità. Nelle principali città i pieghevoli sono stati raccolti dai “fruga cassonetti”. Il rosario continua. Non ci vorrebbero le ronde?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:01