
Ci sono problematiche ricorrenti che riemergono di tanto in tanto, nel dibattito politico, a dimostrazione della effettiva incapacità di affrontarle e, possibilmente, superarle con soluzioni efficaci: quella della parità di genere è una di queste. Ne abbiamo scritto più volte, nel corso degli anni, partendo dal principio che una visione sessista, basata su una riduttiva lettura di contrapposizione, più che di vera alternanza, uomo-donna, applicata ad ogni settore della società, politica compresa, sia del tutto controproducente, dal momento che prevede soltanto aggiustamenti forzosi senza mai andare al cuore del problema e men che meno individuare utili provvedimenti per superarlo definitivamente.
Ma nell’eterno girotondo cui sembriamo condannati, in questo Paese dove si discute e ci si avvita intorno ad ogni questione senza mai fare un passo avanti ma continuando invece ad accapigliarsi sempre e solo sulle premesse, siamo di nuovo a discutere di quote rosa, ovvero di una fasulla soluzione offerta ad un problema vero, di una facilissima quanto inutile operazione di immagine che non va minimamente ad incidere l’enorme bubbone che ci qualifica ultimi in Europa per quanto riguarda la condizione delle donne.
Il ghetto rosa in Parlamento non ha alcun significato, sia per il modo con cui si vorrebbe crearlo – eleggere una donna a prescindere, solo perché è tale – sia per l’effettiva inutilità che comporterebbe, e qui sta il nodo vero del problema. Perché abbiamo toccato con mano, nel corso degli anni, gli effetti negativi dell’unica vera lacuna da colmare, che è quella della incapacità delle donne di fare sistema, o rete, o lobby, come preferite, e dunque di trovare un comune punto di incontro e di convergenza sulle azioni necessarie ad affrontare tutte le questioni irrisolte che tengono in penosa arretratezza la condizione femminile in Italia.
In altri Paesi europei, l’adozione – peraltro transitoria – delle quote rosa è servita a porre le basi di una crescita dal basso ed omogenea di una forte componente femminile, trascinata dalle donne che erano salite in politica; non solo, ma laddove altre leggi, come quella sulla presenza delle donne nei Cda delle aziende, hanno agito da leva per sbloccare e far saltare il famoso “tetto di vetro” che pesa sulle nostre teste, impedendoci di sollevarle, si è visto un significativo aumento di presenze femminili a tutti i livelli – presenze volute, scelte e fatte crescere dalle donne inserite ai vertici.
Dunque, ha funzionato non tanto il provvedimento di genere in sé, ma la fattiva, concreta ed incisiva applicazione, in chiave di motore di un cambiamento, che le donne hanno saputo darne a vantaggio di tutte quelle che meritavano di esserne parte. Grazie ad una cultura, non solo politica ma soprattutto di formazione consapevole, che ha compreso e messo in atto un principio fondamentale, quello che permette ad una comunità di fare leva, per la propria crescita, sull’utilizzo della propria risorsa principale, quella umana, messa in grado di svilupparsi ed esprimersi alla pari, rimuovendo gli ostacoli che impediscono alla donne di mettersi alla prova senza il pregiudizio sessista a pesare su di loro.
Questa cultura è ciò che manca invece in Italia, dove ci siamo cullati per anni nell’inutile presenza di un ministero delle Pari Opportunità, la cui sola esistenza era già la dimostrazione di un fallimento, senza che mai si sia organizzata una significativa azione politica trasversale che vedesse unite da uno stesso obiettivo le donne sedute in Parlamento. Quelle stesse deputate che oggi si trovano d’accordo nel chiedere la parità di genere per le liste elettorali, si sono scannate su tutto, divise su tutto, colpevolmente partecipi – non vittime, semmai ostaggi di se stesse e delle ragioni per cui si sono trovate ad essere elette – della guerra tribale che ha dilaniato per vent’anni questo Paese, invece di dare un senso al loro mandato e lavorare insieme per produrre soluzioni utili alla crescita delle donne. Non abbiamo fatto un solo passo avanti nell’occupazione femminile, ferma da anni all’ultimo gradino della graduatoria europea, a dimostrazione che né un inutile ministero né un gruppo più nutrito di deputate rappresentano la soluzione al problema, senza un decisivo cambio di mentalità e di cultura che costituiscono, invece, la reale ferita aperta e mai curata di questo Paese.
Dove sei sempre la moglie, l’amante, la sorella o l’amica di un uomo; dove ancora guardi all’altra donna come ad una nemica, mai come una sodale; dove vivi nel comodo cono d’ombra proiettato dall’uomo che ti garantisce il tuo posto nella società; dove se sei madre sei pericolosa, se non sei madre sei guardata con estremo sospetto; se non lavori sei un costo, se lavori sei una risorsa sotto o male utilizzata; se sei bella sei etichettata a prescindere, se sei brutta devi essere per forza una che imita un uomo. Non basta un ridicolo ed inutile provvedimento sulla parità di genere a risolvere secoli di arretratezza culturale, così come non è bastato fin qui.
Per cui, care deputate che oggi fingete di fare una battaglia per le donne, fateci un piacere: per una volta, siate sincere, ammettete che questa battaglia la fate solo per voi stesse, molte di voi sono in Parlamento da anni, alcune sono state anche inutili ministre alle inesistenti Pari Opportunità, e tutte avete prodotto risultati pari allo zero. La vostra inessenzialità l’avete già dimostrata, non chiedeteci ancora di credervi, risparmiateci almeno la presa in giro, e continuate a battervi per difendere la vostra nicchia dorata, intanto che noi, nella vita reale, come sempre ci arrangiamo da sole.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06